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 2013  giugno 11 Martedì calendario

EURO, I PORTOGHESI DICONO BASTA

Di austerità si può anche morire. È quello che sta pensando un numero crescente di abitanti del Portogallo, dove il consenso verso la moneta unica europea sta perdendo terreno. E dove recentemente l’economista Joao Ferreira do Amaral ha pubblicato un libro, intitolato Porque devemos sair do Euro (Perché dobbiamo lasciare l’euro), che sta riscuotendo un grande successo, innescando un dibattito o, meglio, facendolo uscire allo scoperto (si veda ItaliaOggi del 4 giugno).
A mano a mano che il tempo passa, il preparato che Lisbona ha dovuto ingurgitare per evitare il fallimento e rimanere nell’eurozona risulta sempre più indigesto: in cambio di un intervento di quasi 80 miliardi di euro concertato con Ue e Fondo monetario internazionale, il governo ha dovuto rimettere i conti in sesto varando provvedimenti da lacrime e sangue.
Sono state aumentate le tasse, sono stati tagliati gli stipendi nel settore pubblico ed è diminuita la spesa nelle infrastrutture, nella sanità e nell’educazione.
Eppure, agli occhi di molti, la situazione non è migliorata: è il terzo anno consecutivo di crescita negativa dell’economia, la disoccupazione ha superato il 17%, il deficit è superiore agli obiettivi programmati. Di qui il malcontento popolare e di parte della politica, anche se i vertici della nazione continuano a ripetere che uscire dall’euro non farebbe che aggravare ulteriormente la crisi.
Il sondaggio più recente tra i cittadini risale a un anno fa: allora soltanto il 20% dei portoghesi voleva uscire dall’euro, mentre il 72% era favorevole alla moneta unica. Nel frattempo non è ancora apparsa la luce in fondo al tunnel e anche in altre nazioni del continente alcuni partiti o movimenti hanno fatto del ritorno alle valute nazionali il loro punto di forza. Ma il deputato socialista Joao Galamba, esponente di punta del partito, non ci sta e sostiene che lasciare la moneta unica non è la soluzione, a meno che non ci si voglia isolare completamente dal resto d’Europa: il che sarebbe una catastrofe.
Gli ha fatto eco l’ex ministro delle finanze, Joao Salgueiro: anche solo parlare dell’argomento danneggia il paese, perché tutti gli investimenti provenienti dall’estero avrebbero costi più elevati. Il governo ritiene che la ripresa, a lungo accarezzata ma che continua a farsi desiderare, arriverà l’anno prossimo, ma diversi economisti sollevano dubbi in proposito.
Secondo Antonio Costa Pinto, docente all’università di Lisbona, se la recessione continuasse, bisognerebbe incrementare ancora i tagli al bilancio statale per raggiungere gli obiettivi fissati dall’Unione europea, ma potrebbe risultare troppo difficile per i politici varare misure di austerità una dietro l’altra.
La crisi si sente anche nel mondo bancario, dove due grandi istituti (Banco Espirito Santo e Banco Comercial Portugues) hanno fatto sapere che oltre il 10% dei loro prestiti corre il rischio di non essere rimborsato. La banca centrale ha avvertito che, in un contesto di contrazione della domanda e di deterioramento del mercato del lavoro, il credito problematico si mantiene a livelli elevati ed è necessario proseguire con una politica prudente di svalutazioni. In generale, come avviene in altre nazioni, i prestiti bancari sono in forte calo perché gli istituti hanno sposato una linea di cautela e rigore.