Fabio Isman, Il Messaggero 11/6/2013, 11 giugno 2013
ECCO I CARAVAGGIO NASCOSTI
Un paio di Caravaggio tra i più famosi ne nascondono altri due: più che semplici bozzetti, quasi finiti; e sicuramente suoi. È uno dei risultati più eclatanti di una vasta campagna di indagini scientifiche partita nel 2009, voluta dal Comitato per le celebrazioni del IV centenario della morte presieduto da Maurizio Calvesi, e svolta sottoponendo ad ogni esame possibile 22 suoi dipinti certi: quelli conservati a Roma. Per determinarne la tecnica e scoprire i segreti esecutivi. Tutti i risultati verranno pubblicati a ottobre (Silvana editoriale), in due tomi di 800 pagine, a cura di Rossella Vodret, ex soprintendente a Roma, Beatrice De Ruggeri, Marco Cardinali e Giulia Ghia, gli autori della ricerca, possibile per l’aiuto della Federazione Tabaccai. Le scoperte sono tante; ma due delle maggiori riguardano La “Buona Ventura” (quella ai Capitolini: ce n’è un’altra, quasi identica, al Louvre) e il “Martirio di San Matteo” di San Luigi dei Francesi, prima commessa pubblica, nella cappella Contarelli. In entrambi, Michelangelo Merisi aveva già dipinto un’altra scena; poi, se ne pente (o forse riutilizza la tela) e le cancella totalmente.
LA ZINGARA E IL MARTIRE
Che sotto il dipinto con la zingara mentre legge la mano al giovane di buona estrazione (lei ha le unghie sporche: «È una rivoluzione», proclamava Emilio Tadini) si celasse il volto di una Madonna, già si sapeva da tempo. «Si pensava opera del Cavalier d’Arpino, dal quale Caravaggio è stato per breve tempo», racconta Vodret. «Invece, la particolare preparazione della tela, finalmente studiata, mostra una identità con quelle di Caravaggio a quei tempi. In più, grazie agli studi di Giorgio Leone, sappiamo che non è del Cavalier d’Arpino, come si credeva, ma era certamente nella bottega di Lorenzo Carli: il pittore siciliano da cui Caravaggio vive subito a Roma». Insomma, si può affermare che, con ogni probabilità, la Madonna cancellata è sua: il solo quadro noto dei primissimi tempi di vita nell’Urbe. E Alessandro Zuccari ne ha anche ritrovato un’antica incisione, da cui deriva un’immaginetta devozionale.
Meno si sapeva, invece, del segreto che celava il Martirio di San Matteo. Una committenza problematica: il debutto pubblico nell’ambiente artistico romano che certo non amava Caravaggio. Da tempo era noto che sotto il Martirio c’era una prima versione, e si pensava ad un abbozzo. Ma non è così: «È un quadro finito; Caravaggio lo cancella, e poi riparte da zero». Si leggono benissimo una serie di piccole figure in un’architettura che le sovrasta, tratta da Bramante. Nel testamento, Contarelli aveva scritto come il quadro doveva essere: pieno di figure. Caravaggio ci prova; ma chiaramente, la prima stesura, brulicante di personaggi piccini, non gli piace. Nella seconda, cambia tutto; e di personaggi, dice Vodret, non ne salva nemmeno uno. «Forse, il carnefice era il Torso del Belvedere, o la figura di Adriano nella Cappella Sistina, girata di 90 gradi». Tutto mutato: se prima erano tante piccole icone, ora dominano la composizione il santo e il carnefice ignudo. E dietro, ci infila anche un autoritratto: lui che assiste alla scena.
IL COMPASSO
«Per la prima volta, nella cappella Contarelli compaiono le incisioni, eseguite con uno strumento appuntito, forse il manico del pennello: per definire le sagome delle figure», spiega Vodret. Nelle prime opere, contrariamente a quanto si è sempre creduto, sono state trovate tracce dei disegni sottostanti, a carboncino o pennello; «poi, la preparazione della tela si fa più scura, e il disegno tradizionale si fa invisibile: non funziona più». Dal Martirio, le incisioni sono una costante. Ma ce n’è traccia anche in alcuni quadri precedenti. Ma il 3 maggio 1598, Caravaggio è arrestato per possesso abusivo di armi. Aveva una spada, e due compassi. «Bene: una traccia di compasso limita il globo centrale nel dipinto al Casino Ludovisi». L’unico murale (non affresco, ma ad olio) eseguito dal Merisi: in quello che, allora, era il gabinetto alchemico del cardinale Del Monte, suo primo protettore. Eterna «Giove, Nettuno e Plutone» (e purtroppo, è difficile poterlo ammirare). Ma nella “Vocazione di San Matteo” un cerchio indica la prima impostazione d’una volta a botte; «sempre con il compasso, nella cappella Contarelli disegna cerchi di luce ed ombra». Poi, deve lavorare più in fretta: l’ansia lo divora; nelle ultime opere «realizzerà soltanto i chiari: per le ombre userà la preparazione della tela, e i bordi a risparmio per delimitare le figure. E le incisioni? «Erano parte del disegno, forse schizzi sulla tela, con il modello davanti; nel “Davide e Golia”, indica solo il collo e il braccio del guerriero; erano punti di riferimento, in cui soltanto lui poteva ritrovarsi». Altre sorprese future? «C’è sempre da studiare: e perché no?».