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 2013  giugno 11 Martedì calendario

L’EMERGENZA ASTENSIONE TRA NUOVI BISOGNI E SFIDUCIA NEI PARTITI

Mai un astensionismo così alto nella storia delle consultazioni elettorali. Dice Elisabetta Gualmini, ordinario di Scienza della Politica a Bologna: «C’è un problema, questo è evidente. Però ci sono due elementi non negativi nell’astensionismo. Il primo è il fenomeno dell’astensionismo critico: cittadini informati, in grado di capire la politica che scelgono di punire un sistema politico inadeguato. Esiste una relazione tra l’aumento dell’astensionismo critico e il calo di Grillo. Calo dovuto anche alla differenza tra competizioni amministrative e politiche. Da questo punto di vista la prova di Grillo non va sottovalutata». Il secondo elemento positivo? «È l’ipotesi formulata dal professor D’Alimonte sul Corriere della Sera di ieri. La fine del voto di scambio ha un effetto sulla partecipazione al voto. In un certo senso, c’è una quota di società più libera».
È un punto che torna nell’analisi. Il rapporto tra la politica novecentesca, azionista di maggioranza del Pil italiano e la società. Osserva Giovanni Guzzetta, professore di diritto pubblico, promotore della campagna per l’introduzione del sistema presidenziale: «C’è un paradosso, una società che continua a essere condizionata dalla politica (ricordiamo che più di metà del pil viene intermediato dallo stato, cioè da scelte politiche), ma che non vede più nella politica una soluzione». Quanto i sistemi elettorali possono riavvicinare alla politica? Il doppio turno non ha avvicinato la gente ai sindaci. «Sì – dice Guzzetta – ma perché i sindaci non hanno potere. Il problema di fondo è il problema dell’autorità. La politica viene considerata inconcludente. Al momento con le larghe intese dovremmo avere il governo più forte del mondo, ma non è così, non ha poteri per decidere alcunché, si limita al piccolo cabotaggio su Imu e Iva».
Nando Pagnoncelli, capo di Ipsos, introduce un elemento in più sul rapporto tra politica e società: «Un problema di risorse esiste. Nella proposta dei candidati sindaci non c’era niente d’importante. Non c’è Giubileo per capirsi. Ma quanto all’affidamento, alle prospettive anche economiche, è interessante notare che in Italia già da qualche tempo a fronte del calo di fiducia rispetto alla politica, registriamo un aumento di fiducia rispetto alle imprese, in particolare le imprese legate al territorio. E questo succede in tutta la penisola».
LE RESPONSABILITÀ

Che responsabilità hanno i partiti e la loro crisi? Risponde Sofia Ventura, politologa a cui piace l’impegno diretto (al momento ha una simpatia per Matteo Renzi). «Nell’astensionismo c’è qualcosa che a che fare con gli attori politici, che siano i leader o i partiti, non c’è nessuna forma di emotività nell’offerta politica. Prendiamo Roma, nessuno dei due era così convincente da spingere la gente a uscire di casa». La mancanza di fiducia non è dovuta anche al definitivo venire meno del senso di protezione della politica (e dei partiti) rispetto alla società, peraltro non compensata da una assunzione di responsabilità e di indipendenza della società? «Senz’altro. Questo è un punto centrale. La politica ha protetto la società per più di cinquant’anni, oggi non può più farlo. Ma non c’è un solo leader politico che utilizzi questo argomento, qualcuno che dica all’elettorato: la politica non può più dare quello che ha dato per tanto tempo sotto forma di redistribuzione, dunque pensateci anche voi a che cosa si può fare per migliorare le cose. Questo tipo di atteggiamento richiede un salto culturale, un approdo a una cultura civica all’americana ancora molto distante».
Su questo punto, le opinioni sono tante e diverse. Carlo Carboni è un sociologo. Nei giorni scorsi ha provato a spiegare i caratteri di una società sempre più extraparlamentare, cioè che si riconosce sempre meno nella rappresentanza: «Capisco l’argomento del civismo all’americana, ma non mi convince. Credo che il problema resti la qualità delle classi dirigenti. Una buona classe dirigente è in grado di mobilitare i cittadini e spingerli a partecipare. Una cattiva classe dirigente no». Dice Daniele Marini, direttore della Fondazione Nord-Est, l’osservatorio sul modello di sviluppo che ha trainato l’ultima fase della crescita italiana. Dice: «La società nordestina non ha mai fatto affidamento sulla politica, si muove sempre prima e autonomamente. E qui la politica non fa più parte del mondo simbolico di chi si impegna. Ma questo non significa che non ci sia domanda di politica. La domanda resta, è la risposta che non c’è più».