
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il successore più probabile di Cesare Geronzi al vertice di Generali è, nel momento in cui scriviamo, Gabriele Galateri di Genola, in uscita dalla presidenza di Telecom Italia. Altra candidatura forte: Domenico Siniscalco. Terzo incomodo: Mario Monti, preside della Bocconi.
• Sa che di tutti questi che ha detto l’unico che ho sentito nominare (vagamente) è proprio Geronzi?
Probabilmente perché Geronzi, quando comandava in Capitalia, controllava di fatto sette squadre di calcio. Ma il fatto che lei non abbia dimestichezza con gli altri nomi dimostra solo la sua ignoranza. Galateri è un uomo di Agnelli, è stato amministratore delegato della Fiat e presidente di Mediobanca. Di Domenico Siniscalco si dovrebbe ricordare se non altro per questo: quando nel 2004 Fini obbligò Berlusconi a buttare fuori dal governo Tremonti (sostenendo addirittura che falsificava i numeri), venne chiamato al suo posto proprio Siniscalco. Quanto a Mario Monti è un importante editorialista del Corriere della Sera e uno dei pochi che all’estero ci ha fatto fare bella figura, ricoprendo per dieci anni il ruolo di commissario europeo alla concorrenza.
• Ma Generali è così importante?
Generali è una delle più importanti compagnie assicurative nel mondo, la più importante in Italia e anzi, secondo Fortune, è il primo gruppo italiano per fatturato. Esiste da 170 anni. Ha 470 miliardi di attivi. Insomma, un colosso. Il cui peso è aumentato dal fatto che il primo azionista è Mediobanca, col 13,5 per cento. Ora Mediobanca, dai tempi di Cuccia, rappresenta il cosiddetto “salotto buono” della finanza italiana, quello in cui le azioni non si contano, ma si pesano. Vale a dire: tu puoi essere anche il socio di maggioranza di una certa azienda, ma a me – che sto nel salotto buono – questo interessa poco. Mi interessa invece sapere “chi” sei: che relazioni hai e quanto potere ti porti dietro. Geronzi è un campione di questa logica, con questa differenza da Cuccia: Cuccia disprezzava i politici e tentava di averci a che fare il meno possibile. Geronzi invece ha trascorso una vita a intrecciare relazioni con i politici di tutte le tendenze. Cresciuto all’ombra di Andreotti, ha salvato attraverso la sua banca, per esempio il Pci dal debito enorme che lo opprimeva e ha aiutato il manifesto a sopravvivere. Ha cioè giocato la sua partita sia sul lato della finanza che sul lato della politica, intrecciando interessi e alleanze e arrivando passo passo al vertice prima della stessa Mediobanca e poi di Generali.
• E perché l’hanno buttato giù?
Ufficialmente per metter fine a questo modo spurio di gestire il potere. Geronzi non aveva formalmente deleghe in Generali, ma – come lui stesso ebbe a dire – gli restava la libertà di telefonare. E di rilasciare interviste. In una, al Financial Times, parlò come fosse l’amministratore delegato, disegnando gli sviluppi futuri dell’azienda, vagheggiando che Generali diventasse “un’assicurazione di sistema”, ipotizzando che dalle sue casse potessero venire investimenti persino sul ponte di Messina. Contrastato ufficialmente da Della Valle, ma assai duramente (e in silenzio) dal vero amministratore delegato di Generali, Giovanni Perissinotto, s’è trovato al consiglio d’amministrazione dell’altro giorno con una mozione di sfiducia firmata da undici consiglieri su 17. S’è dimesso prima ancora che il consiglio cominciasse.
• Il ponte di Messina? Ma allora era un amico di Berlusconi…
Eh sì, chi se ne intende dice che la sua caduta è un colpo per il sistema Berlusconi-Letta. E una vittoria di Tremonti, che avrebbe benedetto la congiura. Sono tutte interpretazioni della prima ora, però. E lo stesso Geronzi ha detto a Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere della Sera, che «non è ancora stato scritto il capitolo finale». La finanza italiana ha parecchi appuntamenti-chiave davanti a sé. Prima di tutto il patto di sindacato di Mediobanca, in scadenza alla fine dell’anno. Lì ci sarà un’altra battaglia.
• Che cosa farà adesso Geronzi?
È uscito da tutto: Pirelli, Rcs Mediagroup, Rcs Quotdiani. È rimasto presidente solo della Fondazione Assicurazioni Generali. Credo però che dovrà darsi parecchio da fare per salvarsi dai processi che lo riguardano: è sotto accusa per il crac Cirio, il pubblico ministero ha chiesto per lui otto anni di carcere e la sentenza arriverà a maggio. Ma è coinvolto anche nel fallimento Parmalat e in quel sotto-caso dell’affaire Parmalat che riguarda la Ciappazzi e le furbizie di Ciarrapico. Storie poco edificanti, nelle quali Geronzi s’è difeso sostenendo che, di quelle cose, si occupava il suo management e lui non ne sapeva niente. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 8/4/2011]
(leggi)