Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 8/4/2011, 8 aprile 2011
PIAZZETTA CUCCIA, IL CORO CONFORMISTA E LA VIA STRETTA ALLA NUOVA STABILITA’
La caduta di Cesare Geronzi è stata salutata con un entusiasmo così unanime da apparire conformista. Un coro al quale partecipano anche esponenti dell’economia e dei media a lungo silenziosi, quando non plaudenti, negli anni d’oro del banchiere romano. E anche dopo. Lo possiamo dire non avendo mancato, a tempo debito, di pesare i risultati di Capitalia con il loro carico di sofferenze. Abbiamo anche raccontato la scalata del 2003 a Mediobanca come conquista del potere, non come operazione modernizzante. Né abbiamo taciuto della natura conservatrice e compromissoria della sostituzione dell’indebitata Pirelli con l’indebitata Telco al comando di Telecom Italia. Abbiamo infine ricordato a governo e opposizione parimenti distratti di dare attuazione alla legge sul risparmio laddove estende alle assicurazioni i criteri di onorabilità delle banche. Se, come dice la Bibbia, c’è un tempo per ogni cosa, evidentemente l’informazione ha, o dovrebbe avere, un orologio in anticipo sulla finanza e sulla politica. Certo, il cambio alla presidenza delle Generali segna una svolta vasta e profonda che la Borsa giudica bene. Del resto, la fiducia dei mercati in Geronzi, mai enorme, era già svanita nel momento in cui, cinque anni fa, per difendere la propria posizione, il banchiere romano aveva estromesso da Capitalia il giovane Matteo Arpe, nonostante questi ne avesse risollevato le sorti. Questa svolta ha le sue prime conseguenze dove l’economia incrocia la politica. L’ex presidente della Generali l’ha presidiata, questa terra di mezzo, con Gianni Letta, sapendo di poter contare sul rispetto e l’appoggio di Silvio Berlusconi e Massimo D’Alema. Di questi tempi, nel mondo, il salvataggio dell’industria finanziaria a opera dei governi ha spostato gli equilibri dal settore privato al settore pubblico. Ma in Italia la politica resta debole, senza progetti reali unificanti come dimostra la riscoperta, a corrente alternata, del patriottismo economico. Il ruolo che ha avuto il ministro dell’Economia Giulio Tremonti nel promuovere un anno fa il passaggio di Geronzi da Mediobanca a Generali e ora nell’autorizzarne, per così dire, la rimozione anticipata sembra smentire l’onnipotenza lettiana. Del resto, nelle grandi imprese a partecipazione statale, i capi azienda si sono riguadagnati la poltrona mostrando una forza proporzionale alla debolezza dell’azionista Stato: nuovi Mattei per mancanza di alternative. Altre conseguenze della caduta di Geronzi si avranno nella finanza. La più suggestiva mediaticamente, ma anche la meno rilevante nella sostanza, sarà l’interruzione del «telefono rosso» tra Geronzi e Giovanni Bazoli. I principali fronti su cui la linea di emergenza è stata azionata sono le nomine in Telecom (non le ultime) e Rcs Mediagroup. È arduo dire se tanto basti a parlare di diarchia tra diversi, ma è sicuro che, dopo Geronzi, resta una pluralità di soggetti. Il primo è Intesa Sanpaolo, che mostra assetti autosufficienti e consolidati nel rapporto inossidabile tra Bazoli e l’amministratore delegato, Corrado Passera, vigilanti le fondazioni guidate da Giuseppe Guzzetti. Gli altri soggetti sono Unicredit, Mediobanca e Generali dove emergono leadership nuove attorno a Federico Ghizzoni, Fabrizio Palenzona, Alberto Nagel e Giovanni Perissinotto. Nella sua breve parabola nordista, Geronzi aveva tentato di estendere il suo tutoraggio anche a Unicredit facendo filtrare indiscrezioni su possibili soccorsi di Mediobanca al colosso allora guidato da Alessandro Profumo nella bufera del crac Lehman. Ma, tramontata la stella del banchiere romano, un nuovo ordine andrà pur disegnato. Nel segno delle buone performance e della stabilità. La stabilità, in particolare, non è pacifica. A partire da Mediobanca, collo di una clessidra che ha in Unicredit il vaso superiore e in Generali quello inferiore. In Mediobanca è già iniziata, dietro le quinte, una partita a quattro tra Bolloré-Groupama, Unicredit-Ligresti, i soci industriali e le fondazioni, mentre a bordo campo c’è il tandem Berlusconi Doris. Nel suo primo mezzo secolo, il collo ha dominato i vasi. In quello superiore, le banche Iri azioniste avevano ceduto il potere ai soci privati di Mediobanca che da Mediobanca dipendevano finanziariamente; nel vaso inferiore, il management di Generali doveva la poltrona ai colleghi di piazzetta Cuccia. Adesso, le tre parti della clessidra tendono ciascuna all’autonomia. Ma la qualità del risultato dipende largamente da come nei prossimi mesi si concluderà la partita in Mediobanca. E qui le combinazioni possibili sono più d’una. Con i francesi che, avendo Vincent Bolloré accettato infine la sfiducia all’amico Geronzi, potrebbero sempre uscire ma anche concorrere, in teoria, alla formazione di maggioranze diverse in caso di tensioni. Favorire la combinazione migliore per lo sviluppo della banca e delle Generali, senza cedere alla tentazione di ricostruire centralità manageriali basate sullo scambio tra dirigenza e azionisti, rappresenta l’esame di maturità per le nuove leve. Anche perché, nell’ordine concentrato del passato, i conflitti d’interesse avevano nei banchieri il soggetto preponderante, e perciò stesso in grado di superare i conflitti nella pratica quotidiana, mentre nel pluralismo dei poteri attuale si rischierebbe un mercato interminabile dei favori incrociati. Massimo Mucchetti