Rachele Ferrario, Corriere della Sera 8/4/2011, 8 aprile 2011
STORIA DI UN BOHEMIEN
Il caso Tancredi. L’artista che esce dagli schemi e per cui la pittura è l’unica vera ragione di vita. La sua figura oggi è legata agli aneddoti leggendari della sua storia; ma va raccontato anche il talento dell’artista e dell’uomo che cerca e trova nel disegno e nel colore la propria espressione, mai di scuola, autentica, tutta dentro al suo tempo. Nato a Feltre il 25 settembre del 1927, Tancredi Parmeggiani sceglie di firmarsi con il solo nome di battesimo, che evoca il mito e la letteratura ma che lui porta da anti eroe. A cinque anni modella soldatini e cow-boy in creta, a sette abbozza angeli — una premonizione delle figure disperate dell’ultimo periodo — e prende lezioni dallo zio pittore prima di andare a scuola di disegno. A otto è già orfano di padre e tra poco perderà la madre. Un destino triste segna la sua infanzia e accresce la predisposizione per il disegno in cui Tancredi è un maestro: ritrae se stesso e tutto ciò che gli sta intorno, in una geografia umana straordinaria. Da adulto le fotografie lo restituiscono bello, il portamento da principe, gli occhi rivolti a un orizzonte remoto, la bocca a volte schiusa in un sorriso tirato, che tradisce il disagio del suo spirito libero ma tormentato. «Il mito Tancredi» , di cui scrive Dino Buzzati il 3 dicembre del ’ 67 sul «Corriere della Sera» per la retrospettiva postuma a Ca’ Vendramin Calergi, si alimenta con le stravaganze dell’uomo e con la curiosità dell’artista che capta, prima degli altri, mezzi espressivi e tendenze. A vent’anni abbandona le aule dell’accademia di Venezia e passa a piedi il confine con la Francia: clandestino per l’arte. A Parigi vede il Louvre e poi le opere degli espressionisti e quelle cubiste di Picasso. Scoperto, viene espulso con il foglio di via. Nel ’ 48, alla Biennale di Venezia, incontra la pittura degli americani della collezione di Peggy Guggenheim, esposti nel padiglione greco. Pollock, De Kooning, Gorky: una rivelazione. Come Vedova e Turcato, nell’estate del ’ 50 come scenario della sua storia d’artista sceglie Roma, crocevia dell’arte internazionale, aperta alla cultura americana. Frequenta il Baretto in via del Babuino e la minuscola libreria-galleria che ha una sola vetrina ma un nome audace, Âge d’Or. Aperta da Dorazio, Perilli e Guerrini, ha destato l’interesse internazionale: ci passano Hilay Rebay che sceglie opere per la collezione di Solomon Guggenheim, Matta e Rothko in Italia in viaggio di nozze. Tancredi entra nel giro dell’avanguardia. I pittori lo accolgono e cercano di proteggerlo, gli mettono a disposizione le loro case. Milton Gendel, giovane fotografo e critico d’arte, corrispondente per le riviste americane «Art New» e «Art in America» , è tra i primi a rendersi conto che in Italia nessuno dipinge come Tancredi: lo ospita a casa e gli compra colori e vernici perché possa esprimere il suo talento. «La sola cosa che posso fare è dipingere» dice Tancredi, che in questi anni è interessato solo alla pittura. Gira scalzo e veste da bohemien: i suoi amici, Turcato, Savelli e Manisco, «i pazzi del Babuino» come li chiama con affetto in una lettera appena ritrovata, si preoccupano per lui. È arrestato due volte dalla polizia. La prima, la comunità degli artisti ottiene la sua liberazione dal commissario del quartiere, che non distingue un vagabondo da un artista. La seconda però Tancredi riceve un altro foglio di via ed è rispedito a Venezia. La sua parabola a Venezia raggiunge il culmine. Carlo Cardazzo e soprattutto Peggy Guggeheim s’accorgono della straordinaria qualità della sua pittura. Peggy gli dà studio e dimora nel seminterrato di Ca’ Venier dei Leoni — dove ha raccolto la sua collezione con le più belle tele di Pollock — e lo promuove a New York nelle collezioni del MoMA e del Brooklyn Museum. Seguono gli anni dello spazialismo, della consacrazione internazionale e dell’amore per una donna che lo porta lontano verso i paesi del Nord. Poi Tancredi, l’anti-eroe, si perde. Tornato a Venezia, si isola da tutto e resta vittima della malattia. Per chiudere la sua storia — dopo l’ultimo ricovero all’ospedale psichiatrico di San Servolo — sceglie Roma. Si getta nel Tevere il 27 settembre del ’ 64. Ha 37 anni, l’età in cui Van Gogh — un artista che Tancredi amava molto — s’era congedato dal mondo. Rachele Ferrario