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 2011  aprile 08 Venerdì calendario

IDEE MERCENARIE PER LE OPERAZIONI DI TERRA

I ribelli chiedono alla Nato di colpire più duro. E la Nato per la terza volta in pochi giorni colpisce per errore proprio loro. Il “fuoco amico” ieri ha ucciso almeno tredici persone vicino ad Ajdabiya, città cruciale per il controllo dalla Cirenaica da dove fuggono migliaia di civili, spaventati da una possibile offensiva lealista.
L’incidente conferma i rischi sempre più alti degli “strike”, oltre all’inadeguatezza della sola copertura aerea a decidere delle sorti del conflitto. E rilancia i sostenitori di un’escalation sul terreno via insorti, magari garantita da buoni maestri, pubblici o privati. Così sul teatro di guerra libico potrebbero presto affacciarsi anche i “nostri” mercenari, oltre a quelli di Gheddafi.
Il vice comandante dell’operazione “Unified Protector” ammiraglio Russ Harding, rispondendo al capo militare dei ribelli che accusa gli alleati di «non far nulla per proteggere la città di Misurata», ha spiegato mercoledì che «le forze governative sono passate in questi giorni a tattiche non-convenzionali, mescolandosi al traffico stradale normale e utilizzando civili come scudi nella loro progressione». Ma al netto dell’uso, vero o presunto, di scudi umani da parte di Gheddafi, quando la guerra entra nelle città il bombardamento dai cieli non è certo lo strumento più appropriato.
E la situazione sui campi di battaglia non sta migliorando, anzi. A ovest la richiesta Onu di un cessate il fuoco a Misurata è rimasta inascoltata. A est la fuga dei civili da Ajdabiya è un segnale preoccupante per i ribelli, che la controllano dal 25 marzo. Ajdabiya è la porta d’accesso a Bengasi, che si trova 160 km più a nord. Se salta rischia anche la capitale della Cirenaica. E l’opposizione mercoledì ha denunciato che nel mirino sono finiti anche i “loro” pozzi, riducendo così le aspettative suscitate dall’apparizione a inizio settimana della prima petroliera al terminal di Marsa el Hariga, nei pressi di Tobruk.
Lo stallo potrebbe spezzarsi, ma a favore dei lealisti. Per evitarlo gli alleati vorrebbero mettere le mani anche nelle operazioni di terra. Ma lo sbarco di truppe non è in calendario. E mettere le armi nelle mani degli insorti è considerata una mossa rischiosa, perché - come ha spiegato il Generale Vincenzo Camporini - «senza un addestramento, potrebbero farsi male da soli». Le cronache che arrivano dal fronte non possono che demoralizzare l’ex Capo di Stato Maggiore della Difesa. Le cosiddette Forze della Libia libera hanno tra i loro ranghi un migliaio scarso di veri soldati, agli altri mancano le basi del mestiere. Non sanno neanche così sia il fuoco di copertura o come proteggersi dai colpi di mortaio, raccontava ieri C.J. Chivers del New York Times. La Nato punta dunque a far scendere in campo degli addestratori per dare un po’ di disciplina alla brancaleonica armata di Bengasi.
Il modello potrebbe essere quello afghano (versione 2001, non il sostegno al jihad anti-sovietico) dove le forze speciali della Cia infiltrate nel Paese prima ancora dell’attacco operavano in stretto coordinamento con gli uomini dell’Alleanza del Nord (guidati però da Signori della guerra assai esperti). In Libia del resto uomini della Cia e del MI6 britannico dovrebbero essere già attivi, con l’incarico però limitato - stando a quanto viene ufficiosamente fatto sapere - di indirizzare il fuoco alleato verso obiettivi sensibili e capire chi sono i ribelli. Sono passati una decina di giorni da queste rivelazioni, il tempo per lo studio dovrebbe essere ampiamente scaduto. Un coinvolgimento degli occidentali però è considerato inopportuno. Se c’è, va coperto.
Gli alleati preferirebbero affidare l’operazione agli arabi già impegnati nella missione - Qatar e Emirati Arabi Uniti - riferiscono fonti della difesa britannica al Guardian. Il quotidiano cita anche la Giordania, che ha i migliori ufficiali e servizi d’intelligence tra gli amici arabi. L’ipotesi più probabile però è che i Paesi del Golfo investano nell’operazione senza parteciparvi, assoldando dei professionisti.
Spunterebbero dunque pure a Bengasi e dintorni le onnipresenti “private military company”. Le fonti britanniche assicurano che anche loro rientrerebbero tra «tutti i mezzi necessari» contemplati dalla risoluzione 1973. Una tesi che buoni avvocati non avranno difficoltà a difendere, ma che sul terreno si tradurrebbe in un multilateralismo sui generis: una missione autorizzata dell’Onu per proteggere i civili, portata avanti nei cieli da volenterosi membri della Nato e via terra da mercenari pagati dagli arabi. E non è detto che sia sufficiente per vincere.