Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  aprile 08 Venerdì calendario

CAVALIERE SENZA GERONZI

Dice Enrico Letta: «La conseguenza diretta delle dimissioni di Geronzi è che Berlusconi è più debole. È noto a tutti l’asse tra i due». In effetti i rapporti tra Geronzi e il Cavaliere sono molto forti.
I due vantano un’amicizia ventennale. E quando serviva, il banchiere di Marino è sempre stato “generoso” nei confronti di Berlusconi.
Per capire bene questo rapporto bisogna fare un passo indietro nel tempo. Sono i primissimi anni novanta. Geronzi ha naso per gli affari. Così - grazie anche al forte legame con Giulio Andreotti - riesce a rilevare dall’Iri gestita da Romano Prodi il Banco di Santo Spirito. La guida della holding di Stato poi passa a Franco Nobili, anche lui andreottiano di ferro, e Geronzi riesce a prendersi anche il Banco di Roma. A quel punto il banchiere - forte delle quote degli istituti da lui gestiti - entra in Mediobanca. I rapporti con Enrico Cuccia non sono facili e, per rafforzarsi sulla piazza milanese, Geronzi conta sul sostegno di Ciarrapico: romanocentrico come Geronzi, ma che è riuscito a ritagliarsi la simpatia milanese grazie all’intervento a Segrate - su mandato di Andreotti - per risolvere la cosiddetta “guerra della rosa” tra Berlusconi e Carlo De Benedetti per la conquista di Mondadori.
Geronzi finanzia Ciarrapico. Quest’ultimo costituisce la cassaforte “Italfin 80”, holding che racchiude società produttrici di acque minerali, cliniche ed immobili. Poi “Italfin 80” fallisce, ma Ciarrapico, nonostante il tribunale gli imponga l’interdizione dalle cariche sociali, rimarrà fedele a Geronzi (Ciarrapico per anni è stato suo consulente, prima in Banca di Roma, poi in Capitalia). Ed è proprio grazie al rapporto personale tra Berlusconi e Ciarrapico che il Cavaliere riesce ad avvicinare Geronzi.
E i due entrano subito il affari. La penetrazione milanese di Geronzi si completa con il rapporto tra la Fininvest - cassaforte dell’impero berlusconiano - e Banca di Roma. Mediaset è approdata in Borsa nel 1996 («quotazione avvenuta per non farla fallire», parole di Fedele Confalonieri). Ma nella fase precedente la quotazione - è il 1994, anno dell’approdo in politica di Berlusconi con il partito/azienda Forza Italia - Fininvest deteneva l’intero capitale di Mediaset: ma la società televisiva è indebitata per 1.970 miliardi di lire. E quando nessuna banca credeva più nell’indebitatissima holding del Cavaliere, la Fininvest è stata sostenuta solo dai crediti di Geronzi.
È il 21 maggio del 1995. Scrive il Corriere della Sera: «Tutte le strade portano alla Banca di Roma. Con quale banca è più indebitato il gruppo Fininvest? Con la Banca di Roma. Chi ha “sponsorizzato” il superberlusconiano L’ Informazione? La Banca di Roma. E chi ha lanciato l’ idea di un pool di banche che rilevasse le azioni Stet per accelerare la privatizzazione delle telecomunicazioni? La Banca di Roma». Poi si racconta di una «cena segreta», dentro la banca romana, con il presidente Pellegrino Capaldo e l’ amministratore delegato Cesare Geronzi che si intrattengono per quattro ore con Silvio Berlusconi e Gianni Letta: «Di che cosa discutono? Ipotesi numero uno. Geronzi, che due anni fa intervenne in soccorso della Fininvest alle prese con la crescente diffidenza del sistema bancario, fa leva sull’amicizia con Berlusconi e sui comuni trascorsi andreottiani con Letta per convincerli ad accettare la mediazione, nell’interesse delle banche creditrici. Ipotesi numero due. Prende corpo l’idea da tempo al centro delle voci: le banche creditrici rilevano la Fininvest come proprietarie garanti e transitorie in vista di un nuovo assetto del potere tv». Insomma, quello Cav-Geronzi è un rapporto di ferro.
Ma veniamo agli ultimi tempi. Banca di Roma cresce. Diventa Capitalia. Poi si fonde con l’Unicredit di Alessandro Profumo. E Geronzi approda alla presidenza di Mediobanca. Un ruolo chiave che dà l’accesso alla banca d’affari di Paizzetta Cuccia anche a Berlusconi. Nel 2008 sua figlia Marina entra nel consiglio di amministrazione di Mediobanca forte del legame con Geronzi e della partecipazione di Fininvest nel patto di sindacato con l’1 per cento del capitale (detiene un altro 1,2 per cento non vincolato all’accordo parasociale). Alla fine di febbraio 2010, poi, Marina Berlusconi compra - tramite Holding Italiana Quarta Spa - altre azioni di Piazzetta Cuccia. La famiglia Berlusconi oggi è azionista di Mediobanca con una quota del 2,060 per cento. Non sono le sole azioni in mano alle aziende di famiglia del Cavaliere. Mediolanum, che è controllata al 35 per cento da Fininvest, detiene un altro 3,383 per cento.
Ma visto il rapporto di ferro tra Berlusconi e Geronzi, perché il premier non ha fatto nulla per salvare Geronzi?