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 2011  aprile 08 Venerdì calendario

E SE IL PILOTA SI ADDORMENTA IN VOLO?


Due piloti si sono addormentati in volo in Gran Bretagna. Come può succedere un fatto del genere?

È capitato tre mesi fa e l’episodio è stato reso pubblico ieri dagli stessi due piloti, tramite il loro sindacato nazionale (Balpa). Secondo quanto hanno denunciato, il cambio di turno che avrebbe dovuto garantire loro il riposo era mal congegnato dalla compagnia, così nessuno dei due ha potuto dormire davvero. Poco dopo un nuovo decollo, il co-pilota ha chiesto di potersi appisolare. Permesso accordato. Ma poi anche il comandante, che non riusciva a tenere gli occhi aperti, ha avuto un colpo di sonno. Quando si è risvegliato, si è reso conto (con spavento) che erano passato dieci minuti, durante i quali nessuno dei due uomini ai comandi era sveglio.

Si è rischiato il disastro?

C’era il pilota automatico inserito, inoltre un sistema avverte il pilota, con un suono di allarme, se qualche parametro come l’altitudine è fuori norma. Ma secondo lo stesso comandante britannico, «il suono non è forte, e se uno dorme rischia di non svegliarsi, con grave pericolo in varie circostanze, per esempio se si accosta la rotta di un altro aereo».

Fatti del genere sono rari?

Lo stesso sindacato Balpa denuncia che su 492 piloti britannici sondati, circa il 20% lamenta di avvertire fatica e bisogno di sonno quando si trova in volo. C’è da aggiungere che la presenza di due persone in grado di alternarsi ai comandi dovrebbe garantire la sicurezza, e il fatto che pilota e co-pilota si addormentino simultaneamente va considerato eccezionale. Ma finché il fattore-uomo fa parte del sistema di volo, questo rischio non si può escludere.

Come sono le regole sul riposo dei piloti?

Al momento nell’Unione europea c’è un limite di 900 ore di volo ogni 12 mesi, ma Bruxelles (dietro impulso delle compagnie) vorrebbe alzare la soglia a 1000 ore. Il comandante Roberto Spinazzola per l’italiana Unione piloti dice che «sono già stati prodotti e discussi documenti, che ci vedono contrari». A suo giudizio «c’è una tendenza delle compagnie a considerare tutto quello che ha a che fare coi margini di sicurezza come un costo, e non più come un investimento, come avveniva fino a una decina di anni fa. Quello che arriva dall’Ue non è un buon segnale». Spinazzola segnala anche che la Faa, cioè l’ente responsabile della sicurezza dei voli in America, mette la fatica degli equipaggi al secondo posto per le cause di incidenti, dopo i fattori tecnici.

Ci sono stati episodi gravi in passato?

A Tenerife il 27 marzo 1977, nella peggiore catastrofe dell’aviazione civile (collisione di due Jumbo con 583 morti), fra le concause dell’incidente ci fu la pressione ad affrettare il decollo, perché le ore di servizio di uno dei due equipaggi stavano superando quelle mensili permesse. Nel giugno 2008, sul volo notturno DubaiJaipur-Mumbai, i piloti (in arretrato di sonno) dopo il decollo inserirono il pilota automatico e si addormentarono. Arrivati sopra l’aeroporto di destinazione non se ne accorsero, continuarono a dormire e lo sorpassarono. Vennero svegliati da terra.

A parte il sonno arretrato, i piloti volano sempre al massimo della forma?

Nella media, ogni anno in Europa un pilota sale su un aereo da cui scenderà morto (per infarto o altre cause). Il libro «Piloti malati» di Antonio Bordoni riporta casi preoccupanti. Il 9 febbraio 1982 un Dc8 stava atterrando a Tokyo quando il comandante smise di fare quel che doveva e restò immobile e muto mentre l’aereo andava giù. Dopo 50 secondi di sconcerto assoluto, il secondo pilota (lo si sente nelle registrazioni della scatola nera) urlò atterrito «capitano, che cosa sta facendo?», ma non ricevette altra risposta che una disperata esplosione di pianto e singhiozzi. Il secondo pilota provò a prendere i comandi, ma era tardi: il Dc8 si schiantò mezzo chilometro prima della pista. Un anno prima, quel comandante era stato sospeso (per breve tempo) per disturbi psichici e allucinazioni.

Altri casi celebri di poca lucidità ai comandi di un jet?

Un pilota di nome Bryan Griffin, affetto da psicosi da panico e da manie suicide, in volo veniva colto dall’impulso di spegnere i motori. Riuscì sempre a trattenersi, ma in un’occasione su un volo Perth-Singapore avviò deliberatamente e senza necessità una procedura pericolosissima, dopodiché si convinse di dover denunciare i suoi problemi alla compagnia. Benché ripetute visite psichiatriche avessero confermato uno stato ansioso fobico, il vettore decise di far volare Griffin per diversi anni ancora, imbottito di psicofarmaci. In un’altra occasione su un volo Toronto-Heathrow il comandante prese il microfono per annunciare ai passeggeri: «Voglio parlare con Dio». La crisi mistica venne risolta dal secondo pilota con un atterraggio d’emergenza nell’aeroporto di Shannon (in Irlanda).