Riccardo Sabbatini, Il Sole 24 Ore 8/4/2011, 8 aprile 2011
PERISSINOTTO ALLA SFIDA DELLA GLOBALITÀ
Quattro miliardi. In estrema sintesi è questo il bilancio per gli azionisti del decennio di Giovanni Perissinotto al guida operativa delle Generali. Il group Ceo della compagnia triestina venne nominato amministratore delegato nell’aprile del 2001 al termine dell’assemblea che sancì l’arrivo dei "quarantenni" (tra cui Perissinotto e l’allora direttore generale Sergio Balbinot) nella stanza dei bottoni del gruppo. Una novità, per l’epoca. Ebbene nel periodo 2002-2010 il gruppo triestino ha chiesto ai propri soci 2,8 miliardi come aumenti di capitale (l’emissione di titoli al servizio del riacquisto delle quote di minoranza di Alleanza Assicurazioni) e li ha remunerati, tra distribuzione di dividendi e buy back, con 6,8 miliardi. La differenza sono appunto 4 miliardi. Ora che lo scontro al vertice delle Generali si è concluso è tempo di bilanci e soprattutto di prospettive per il gruppo di manager che da questa prova è uscito rafforzato (nelle attribuzioni di deleghe) ma anche sotto osservazione.
Quello di considerare la differenza tra le risorse chieste e quelle distribuite al mercato è soltanto un possibile indicatore. C’è poi, naturalmente la capitalizzazione di Borsa che, dal 2002 ad oggi, registra una flessione, al netto degli aumenti di capitale, del 16% ma occorre considerare le due grandi crisi finanziarie (nel 2001 e nel 2008-2009) del decennio. L’andamento di Generali è stato sostanzialmente in linea con quello di Axa ma significativamente migliore di quello di Allianz. E, in ogni caso, il decennio appena trascorso è stato di crescita per il gruppo con un portafoglio premi passato da 45,6 miliardi di euro a 73,2 miliardi (+60%). Anche in questo caso il confronto con i grandi competitor è positivo. Sotto la guida di Perissinotto e Balbinot il Leone ha rafforzato le sue posizioni in Italia (acquisendo il gruppo Toro) ed ha costruito solide teste di ponte in alcune delle aree a più rapida crescita del pianeta, la Cina, l’India. E soprattutto l’Europa dell’est dove i suoi investimenti già sono a reddito, registrano cioè significativi utili. In quell’area è ancora scoperta la Russia, un mercato di 230 milioni di consumatori. L’investimento finanziario nella banca Vtb - 100 milioni – si spiega anche con il desiderio di marcare una presenza in vista di future eventualità. E intanto, a dispetto delle recenti polemiche, i gestori che lo hanno in carico in parte avrebbero già liquidato quei titoli realizzando plusvalenze.
All’inizio del nuovo secolo le Generali erano sostanzialmente un gruppo europeo con poche propaggini in altri continenti. Oggi è più internazionale anche se non può essere definito globale né sotto il profilo geografico (non è presente in Usa e Gran Bretagna) né per il business. Il suo portafoglio è tuttora squilibrato sul settore vita e la componente di asset management è ancora insufficiente. Le direttrici di marcia del management rivolte innanzitutto a ridurre queste debolezze.
La prima priorità è l’asset management. La differenza ancora marcata negli utili netti realizzati da Generali rispetto ai suoi grandi competitor si deve proprio alla carenza di questo business. Tra l’altro l’asset management registra normalmente un andamento favorevole quando il mercato vita declina e pertanto il suo sviluppo va visto anche in chiave di stabilizzazione dei profitti del gruppo. Per migliorare le loro posizioni i manager triestini non si propongono grandi acquisizioni quanto di integrare meglio Banca Generali - una struttura di distribuzione che proprio in questo periodo sta cogliendo significativi successi – con la Bsi che invece è una fabbrica di prodotti finanziari. Recentemente una unità di asset management è stata collocata a Singapore, per coprire le esigenze del far east. I ritmi di crescita sono assai rilevanti. Gli asset in gestione a fine 2010 avevano raggiunto i 5 miliardi e già in queste settimane - trapela da Trieste - i volumi sarebbero quasi raddoppiati.
Nel ramo vita lo sforzo di Trieste in questi anni è stato quello di costruire prodotti che riducessero il consumo di capitale regolamentare. In vista della nuova regolamentazione di vigilanza prudenziale (Solvency II) l’ottimizzazione delle risorse patrimoniali è divenuta una priorità. Collocando le garanzie alla scadenza delle polizze ed abbassando il tasso garantito negli altri casi i manager di Generali ritengono di aver ottenuto una giusta miscela nel comparto delle polizze tradizionali ma probabilmente nel futuro proseguirà uno sforzo di ulteriore affinamento.
Ma la sfida maggiore per i prossimi anni riguarda il ramo danni. Non soltanto la dimensione di quel business è insufficiente ma soprattutto il gruppo è molto concentrato nella clientela al dettaglio. La sua presenza nell’assicurazione dei rischi aziendali (corporate) è ancora modesta, con l’eccezione dell’Italia. Certo in questo modo il Leone rischia di meno, ma guadagna in proporzione. Ed inoltre è maggiormente condizionato dalle reti di vendita tradizionali (agenti) mentre le polizze corporate sono collocate attraverso i broker. Ma per entrare nel mercato dei rischi aziendali occorre un approccio unitario a livello internazionale, disporre di conoscenze (e basi statistiche) approfondite per tariffare in modo adeguato i rischi. In questo settore, probabilmente, potrebbero esserci le maggiori sorprese ed anche le maggiori acquisizioni per dare al Leone triestino quella dimensione globale che ancora gli manca.