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 2011  aprile 08 Venerdì calendario

Tappate la bocca al Duce: il mandato delle spie inglesi - Nel 1995 la pubblicazio­ne del saggio-intervi­sta di Renzo De Felice intitolato Rosso e Nero riaprì improvvisa­mente, con grande cla­more, un giallo storico che non era mai stato risolto:l’uccisione di Beni­to Mussolini e di Claretta Petacci il 28 aprile 1945

Tappate la bocca al Duce: il mandato delle spie inglesi - Nel 1995 la pubblicazio­ne del saggio-intervi­sta di Renzo De Felice intitolato Rosso e Nero riaprì improvvisa­mente, con grande cla­more, un giallo storico che non era mai stato risolto:l’uccisione di Beni­to Mussolini e di Claretta Petacci il 28 aprile 1945. Nel corso del cinquan­tennio seguito a quei tragici avveni­menti, le versioni e le illazioni sui mandanti, sugli esecutori e sulle mo­dalità stesse della “esecuzione” del Duce e della sua amante erano state molte, spesso discordanti e poco convincenti. La versione ufficiale,diffusa già al­l’indomani dei fatti, era quella che in­dicava nel «colonnello Valerio», no­me di battaglia di Walter Audisio, l’uomo che aveva materialmente “giustiziato”Mussolini.Peraltro,sol­tanto nel 1947, in un’intervista rila­sciata al giornalista Vitantonio Napo­litano, Audisio aveva dichiarato uffi­cialmente di essere il «colonnello Va­lerio » e, quindi, l’uomo che, a raffi­che di mitra, aveva fatto «giustizia per tutti». In seguito l’autoaccusa di Audisio venne messa in discussione a causa di contraddizioni e incon­gruenze rilevate in diversi resoconti fatti dallo stesso Audisio in occasioni diverse, e si cominciò a pensare che quella versione, ufficializzata dal Partito comunista, dovesse servire di copertura. Si parlò di altri possibili esecutori materiali, a cominciare da Luigi Longo e da Aldo Lampredi, no­me di battaglia «Guido». Emersero anche altre ipotesi, come quella di una “doppia fucilazione”. De Felice, in verità, non affrontava dettagliatamente la questione, in quel suo libro-intervista, ma faceva una allusione precisa al fatto che l’uc­cisione di Mussolini­non sarebbe sta­ta soltanto una questione italiana de­cisa dai capi della Resistenza, cioè dal Cln, ma il risultato di una azione clandestina più complessa studiata, pianificata e portata avanti dai servi­zi segreti inglesi in collaborazione con esponenti della Resistenza loca­le. Anzi, disse di più. Parlò di uno scontro tra inglesi e americani. So­stenne che «gli americani volevano Mussolini vivo» perché «progettava­no di portare anche il Duce alla sbar­ra, senza preoccuparsi di cosa avreb­be potuto dire», mentre «gli inglesi, che formalmente perseguivano gli stessi scopi degli americani, Mussoli­ni a Norimberga non ce lo volevano proprio». E precisò che «fu molto fa­c­ile per gli inglesi evitare che gli ame­ricani mettessero le mani sul Duce» perché «fecero tutto i partigiani». L’affermazione era clamorosa e fe­ce scalpore. Tuttavia, Renzo De Feli­ce, morto improvvisamente, non poté portare a compimento la bio­grafia mussoliniana e a scrivere, co­sì, l’ultima pagina della vita del Du­ce. Il mistero rimase un mistero e il giallo rimase un giallo irrisolto. Ades­so, a distanza di tanti anni, uno stori­co francese, Pierre Milza, in un volu­m­e dal titolo Gli ultimi giorni di Mus­solini , in uscita il 21 aprile per i tipi di Longanesi, riprende la questione. Milza è uno specialista di storia italia­na, autore di una biografia di Musso­­lini, che si muove lungo la linea inter­­pretativa del grande lavoro biografi­co di De Felice col quale aveva intrat­tenuto un ventennale rapporto di amicizia. In questa biografia, egli aveva osservato che sarebbe stato opportuno lasciare a coloro che «fan­no commercio degli enigmi della sto­ria » la verifica dell’ipotesi della «pi­sta inglese». Il gusto della ricerca, però, e alcu­ne pubblicazioni uscite nel frattem­po hanno spinto Milza a riprendere il tema e, pur non producendo una documentazione inedita, a indivi­duare e sistematizzare tutti gli aspet­ti oscuri che circondano la fine del Duce, i cosiddetti «misteri di Don­go », e a presentarli in un racconto ap­passionante. L’arresto di Mussolini, gli intrighi che ruotano attorno alla sorte da riservare al Duce,la “missio­ne” del “colonnello Valerio”,il ruolo di Luigi Longo, la tesi della “doppia fucilazione”, l’ipotesi delle torture e della violenza inflitta a Claretta, le tracce del cosiddetto “tesoro di Don­go” sono tutti temi di un racconto che si sviluppa in una trama affasci­nante. Il punto centrale dell’analisi di Milza ruota però attorno alla “pi­sta inglese” o, più esattamente, alla piccola guerra dei servizi segreti. Egli sostiene che, pur senza farne il nome, le allusioni di De Felice face­vano riferimento alle rivelazioni, emerse un anno prima della pubbli­­cazione di Rosso e Nero , di un ex parti­giano, Bruno Lonati. Questi raccon­tò di aver fatto parte, insieme a un agente dell’Intelligence britannica con il nome di copertura di capitano John, di un commando incaricato di uccidere Mussolini e la Petacci e rac­contò in dettaglio l’operazione. Lo storico francese, pur facendo appel­lo alla prudenza, mostra, anche con­tro le liquidatorie affermazioni in contrario di alcuni storici inglesi, di ritenere che questa ipotesi non sia del tutto inverosimile e che, anzi, presenti elementi di sincerità. Il ram­marico di Milza è che De Felice non abbia potuto concludere la sua ricer­ca. Ed è un giusto rammarico. Ma è anche vero che i materiali preparato­ri raccolti da De Felice per il suo libro qualche cosa, letti in controluce, rac­contano...