
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
E così il prossimo 17 marzo sarà festa, festa nazionale. Lo ha deciso ieri, con un decreto, il consiglio dei ministri.
• Che festa è?
La festa per l’unità del Paese. Il 17 marzo 1861 il Parlamento di Torino (la capitale a quel tempo stava a Torino e Roma non era ancora italiana) votò una legge che riconosceva in Vittorio Emanuele II il re d’Italia e per i suoi discendenti il diritto di succedergli al trono. Il Regno d’Italia era proclamato. Ciononostante, a rigore, il compleanno del nostro Paese sarebbe dovuto cadere più giustamente il 18 febbraio, data in cui si riunì per la prima volta il Parlamento eletto il 27 gennaio. I nostri antenati percepirono quello come inizio, e Torino visse quella giornata in un tripudio di feste, fiori e bandiere. Il discorso della corona fu pronunciato quel giorno: «Libera e unita quasi tutta per mirabile aiuto della Divina Provvidenza, per la concorde volontà dei popoli, e per lo splendido valore degli Eserciti…» disse Vittorio Emanuele II. Mentre il 17 marzo passò via relativamente ignorato. In ogni caso, è stato scelto il 17 marzo e teniamoci il 17 marzo.
• «Concorde volontà dei popoli»?
Hanno litigato anche sulla festa, e cioè se questo 17 marzo – il 17 marzo 2011 – dovesse considerarsi festa sul serio, con la gente che non andrà a lavorare, oppure no. A non volere la festa non era solo la Lega, ma anche il ministro della Pubblica Istruzione, Maria Stella Gelmini, e aveva dubbi anche il ministro Sacconi.
• La Lega era prevedibile. Ma gli altri?
Ragioni economiche. Un paese in crisi deve lavorare per superare le difficoltà e piazzare un nuovo giorno di festa, restandosene a casa, fa perdere soldi. Il bello è che questo è stato anche l’argomento dei leghisti. Calderoli ieri, dopo il consiglio dei ministri: «Fare un decreto legge per istituire la festività del 17 marzo, un decreto legge privo di copertura (traslare come copertura gli effetti del 4 di novembre, infatti, rappresenta soltanto un pannicello caldo e non a caso mancava la relazione tecnica obbligatoria prevista dalla legge di contabilità), in un Paese che ha il primo debito pubblico europeo e il terzo a livello mondiale e in più farlo in un momento di crisi economica internazionale è pura follia. Ed è anche incostituzionale». La Brambilla gli ha risposto che la vacanza e il ponte (il 17 marzo cade di giovedì) darà probabilmente impulso al turismo e quindi quello che perderemo da un lato lo riguadagneremo dall’altro. Non so chi ha ragione, ma è interessante che la Lega non abbia attaccato la festa per via dell’unità, della patria, del tricolore e per tutto il resto che gli starebbe sullo stomaco. Questi argomenti qui sono stati dimenticati. Benigni ha potuto dire, l’altra sera a Sanremo, che restando a casa gli studenti saranno indotti a chiedersi: «Perché non sono andato a scuola?» e tentando di rispondere a questa domanda impareranno magari un po’ di storia.
• A proposito di Benigni: non sarà che l’Italia, l’inno di Mameli e il tricolore sono un po’ venuti di moda?
Forse. Vedo parecchie pubblicità che giocano col bianco rosso e verde, e un’azienda primaria sta addirittura cercando i nuovi mille, mettendo in mostra una bella ragazza in camicia rossa e foulard verde (tra l’altro c’era una sola donna tra i Mille, era Rosalia Montmasson, moglie di Crispi). Anche la scelta di Benigni, molto attento a queste cose, ci dice che un certo sentimento nel nostro Paese forse a questo punto esiste. Se fosse vero, sarebbe un risultato importante: gli italiani sono sempre stati dei grandi denigratori di se stessi, fin dal primo momento. Sa che cosa scriveva del suo popolo Massimo d’Azeglio ai tempi della I guerra d’indipendenza (1848-1849)? ««Ma vorrei aver dieci ferite, incontrar doppie fatiche, e spese, e pericoli e vorrei essere sotterra, e non aver veduto che trista razza siamo purtroppo noi Italiani; non aver scoperto che i nostri nemici più tremendi non sono già i Tedeschi ma sono gl’Italiani». Non ci sarebbe da star troppo allegri neanche adesso, ma la Lega ci ha dato forse una mano a recuperare un po’ di patriottismo.
• Come mai la Lega?
Perché la Lega, mettendo in discussione l’unità, ci ha costretto a riflettere sulle nostre vicende e in definitiva su noi stessi. Il 2011, come celebrazioni, è molto meglio del 1961, in cui noi ragazzini fummo sommersi da una valanga di retorica, la stessa che rende insopportabile quel periodo meraviglioso che fu il Risorgimento. Meraviglioso (e commovente) se lo si conosce, come è ovvio. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 19/2/2011]
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