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 2011  febbraio 19 Sabato calendario

LO SPETTRO DEL MARE ACIDO

Il futuro della pesca si basa su due fattori: l’aumento della popolazione mondiale e, soprattutto, il livello di CO2 nell’ambiente che rischia di portare l’acidificazione del mare a livelli tali che entro il 2050 si potrà andare a pescare soltanto ai Poli.
Mare acido, è allarme. È uno scenario difficile da accettare ma che, a determinate condizioni, potrebbe verificarsi, quello tratteggiato da Sam Dupont del dipartimento di ecologia marina presso l’università di Goteborg (Svezia) e altri esperti nel corso del Salon Halieutis di Agadir tenutosi nei giorni scorsi. «L’anidride carbonica nell’acqua degli oceani produce acidificazione delle acque», spiega: «Questo non succedeva da secoli e gli oceani non sono pronti» ad un cambiamento così repentino e in dosi massicce.
Quindi prevede: «Se i livelli di CO2 si manterranno nei valori attuali, entro fine secolo il livello d’acidificazione sarà il doppio dell’attuale e in 40 anni spariranno così specie essenziali per l’ecosistema atlantico». C’è una cura al problema? Per Dupont la risposta è sì: «Possiamo ridurre il livello di anidride carbonica».
Acquacoltura e «fame» di pesce. Parlando invece dei trend di mercato Lahsen Ababouch, del dipartimento pesca della Fao, spiega: se nel 1951 la produzione mondiale di pesca era pari a 20 mln di tonnellate, nel 2008 è arrivata a 142.
L’acquacoltura, che negli anni 70 pesava solo per il 7% del totale, nel 2008 è arrivata al 47% e nel 2020 sarà al 60. Ababouch sottolinea come i mari del mondo, e in particolare gli oceani, siano per il 52% completamente sfruttati e per il 26 «overfished», cioè con uno sfruttamento oltre qualsiasi limite. Continua: «Il 12% dei mari è moderatamente sfruttato, il 3 inesplorato. Andiamo avanti fino al 67% totale o ci fermiamo? In realtà», dice, «il 52% non significa che il pesce è in via di estinzione, è solo un problema di comunicazione».
Come cresceranno i consumi. Che cosa fare? È lecito attendersi, ai livelli attuali di produzione, che nel 2020 l’acquacoltura aggiungerà altri 25 mln di tonnellate alla produzione attuale. «Ma», avverte Ababouch, «se la crescita sarà pari allo stesso tasso registrato dal ’90 ad oggi, allora ce ne vorranno 50». Nel frattempo, poi, se i borghesi del gruppo Bric (Brasile, Russia, India, Cina) aumenteranno, la produzione dovrà crescere ancora di più. Tre sono i grandi mercati mondiali: Europa, Usa, Giappone e i prodotti della pesca valgono, per i paesi in via di sviluppo, un export da 25 mld di dollari. A proposito di consumatori, attualmente in Asia il pesce contribuisce al 21,7% della dieta, in Africa per il 18,7%, nell’Ue per l’11,3. Attualmente il 28% della middle class (525 mln) mondiale vive in Asia. Ma nel 2020 saranno 740 mln, ossia il 54% del totale e 3,2 mld (66%) nel 2030. Questo, secondo Ababouch significa che: «Asia e Brasile si accaparreranno l’export di pesce grazie al maggior potere d’acquisto della middle class». Soluzione? «Governi e produttori devono capire che serve uno sforzo globale. Partendo dalla tutela di gestione e produzione, puntando poi sull’acquacoltura» e sulla certificazione dei prodotti, conclude.