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 2011  febbraio 19 Sabato calendario

CHI GUADAGNA CON L’ICONE ADEL CHE? MOSSE LEGALI PER ELIMINARE TUTTI I GADGET —

Poche immagini sono tanto famose come quella che scattò il cubano Alberto Diaz Gutiérrez, poi conosciuto come Alberto Korda.
Era il 5 marzo 1960 e, alla commemorazione degli 81 morti nell’attentato al mercantile francese carico di armi nel porto di L’Avana (Fidel Castro accusò la Cia), sul palco spiccava Ernesto «Che» Guevara, all’epoca ministro dell’industria. Korda aprì l’otturatore della sua Leica un paio di volte: «L’ho guardato attraverso l’obiettivo mentre si chiudeva il giubbotto e ho schiacciato» . In fase di stampa riuscì a isolare il volto del Guerrillero Heroico, come fu poi intitolata la foto, un primo piano coi capelli lunghi e ondulati, un accenno di baffi e di barba, in testa il basco con la stella. Non avrebbe mai immaginato che quel clic sarebbe diventato un logo storico: nei libri, stampato sulle bandiere e sulle t-shirt, sulle tazze, sui piatti, sulle insegne dei ristoranti, sui cappellini, persino utilizzato nelle pubblicità della vodka, l’icona della sinistra, della rivoluzione, del guevarismo di ogni età. Pensare che i giornali dell’epoca la bocciarono. E ci vollero ben sette anni perché trovasse lo spazio e la fama che meritava.
Se ne torna a parlare dopo mezzo secolo, di questo ritratto, perché oggi c’è in ballo il copyright: a chi va? E non solo: è possibile mettere al bando l’uso commerciale indiscriminato del «Che» per preservarne il valore politico o comunque per trasferire i profitti del Guerrillero Heroico a chi ne è il vero titolare? È Jim Fitzpatrick a impugnare l’arma legale e a raccogliere la documentazione per restituire alla famiglia del Che i diritti derivanti dall’utilizzo dell’immagine. E c’è una ragione particolare: lui è l’artista irlandese che nel 1968 prese, essendone autorizzato, la foto di Korda per farne un’opera in due colori base, sfondo rosso, volto e lineamenti in bianco e nero, una dei poster-litografia più venduti al mondo. A dire il vero, prima di Jim Fitzpatrick, un ruolo importante lo aveva avuto l’editore Giangiacomo Feltrinelli che in uno dei suoi viaggi a Cuba aveva conosciuto Korda e da lui aveva ottenuto una copia della foto. Se ne innamorò e la usò per illustrare l’edizione italiana dei diari del Che. Ma il celtico Jim Fitzpatrick col suo poster la trasformò in simbolo universale.
Tanto Korda quanto Fitzpatrick non si preoccuparono molto del copyright, offrirono libertà di utilizzo del volto del «Che» ai movimenti del Sessantotto, ai gruppi della sinistra per i vessilli e le magliette, senza pensare che la foto e la sua rielaborazione nel poster sarebbero diventati un gadget, una fonte di guadagno anche per coloro che con la rivoluzione avevano ben poco a che vedere. Lo stesso Albert Korda, nel 2000 poco prima di morire, irritato da un’azienda che si era impadronita del «Che» per promuovere la sua vodka, ottenne un parziale risarcimento di 30 mila sterline che poi donò alle casse del sistema sanitario pubblico cubano.
La battaglia su Ernesto Guevara non è però finita. Jim Fitzpatrick si è affidato a uno studio di avvocati per impedire lo sfruttamento gratuito e non politico della sua opera. «Se so che le t-shirt con il "Che"vendono molto sono contento. Il problema è che quei soldi non devono arricchire poche persone ma semmai essere usate per costruire un ospedale a Cuba» . Volerà a L’Avana per parlare coi familiari del guerrigliero. Che siano loro a decidere come ripristinare e dirottare il copyright. Se business deve essere, che sia politicamente corretto.
Fabio Cavalera