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 2011  febbraio 20 Domenica calendario

In Italia

Il Presidente della Repubblica è Giorgio Napolitano
Il Presidente del Senato è Renato Schifani
Il Presidente della Camera è Gianfranco Fini
Il Presidente del Consiglio è Silvio Berlusconi
Il Ministro degli Interni è Roberto Maroni
Il Ministro degli Esteri è Franco Frattini
Il Ministro della Giustizia è Angelino Alfano
Il Ministro di Istruzione, università e ricerca è Mariastella Gelmini
Il Ministro del Lavoro e delle politiche sociali è Maurizio Sacconi
Il Ministro dell’ Economia e delle Finanze è Giulio Tremonti
Il Ministro della Difesa è Ignazio La Russa
Il Ministro dello Sviluppo economico è Claudio Scajola
Il Ministro delle Politiche agricole è Giancarlo Galan
Il Ministro di Infrastrutture e trasporti è Altero Matteoli
Il Ministro della Salute è Ferruccio Fazio
Il Ministro di Beni e Attività culturali è Giancarlo Galan
Il Ministro dell’ Ambiente è Stefania Prestigiacomo
Il Ministro dell’ Attuazione programma di governo è Gianfranco Rotondi (senza portafoglio)
Il Ministro della Gioventù è Giorgia Meloni (senza portafoglio)
Il Ministro delle Pari opportunità è Mara Carfagna (senza portafoglio)
Il Ministro di Pubblica amministrazione e Innovazione è Renato Brunetta (senza portafoglio)
Il Ministro dei Rapporti con il Parlamento è Elio Vito (senza portafoglio)
Il Ministro di Rapporti con le Regioni e Coesione territoriale è Raffaele Fitto (senza portafoglio)
Il Ministro delle Riforme per il federalismo è Umberto Bossi (senza portafoglio)
Il Ministro della Semplificazione normativa è Roberto Calderoli (senza portafoglio)
Il Ministro di Sussidiarietà e decentramento è Aldo Brancher (senza portafoglio)
Il Ministro del Turismo è Michela Vittoria Brambilla (senza portafoglio)
Il Governatore della Banca d’Italia è Mario Draghi
Il Presidente della Fiat è John Elkann
L’ Amministratore delegato della Fiat è Sergio Marchionne
Il Presidente della Rosa per l’Italia è Savino Pezzotta
Il Segretario Nazionale dei Popolari per il Sud è Clemente Mastella

Nel mondo

Il Papa è Benedetto XVI
Il Presidente degli Stati Uniti d’America è Barack Obama
Il Presidente del Federal Reserve System è Ben Bernanke
Il Presidente della BCE è Jean-Claude Trichet
Il Presidente della Federazione russa è Dmitrij Medvedev
Il Presidente del Governo della Federazione russa è Vladimir Putin
Il Presidente della Repubblica Popolare Cinese è Hu Jintao
La Regina del Regno Unito è Elisabetta II
Il Premier del Regno Unito è David Cameron
La Cancelliera Federale di Germania è Angela Merkel
Il Presidente della Repubblica francese è Nicolas Sarkozy
Il Primo Ministro della Repubblica francese è François Fillon
Il Re di Spagna è Juan Carlos I
Il Presidente del Governo di Spagna è José Luis Rodríguez Zapatero
Il Comandante Supremo delle Forze Armate dell’ Egitto è Mohammed Hoseyn Tantawi
Il Primo Ministro di Israele è Benjamin Netanyahu
Il Presidente della Repubblica Turca è Abdullah Gül
Il Presidente della Repubblica Indiana è Pratibha Patil
Il Primo Ministro della Repubblica Indiana è Manmohan Singh
La Guida Suprema dell’ Iran è Ali Khamenei
Il Presidente dell’ Iran è Mahmud Ahmadinejad

Lista dei paesi medio-orientali o africani in rivolta o dove si svolgono manifestazioni di protesta: Libia, Algeria, Bahrein, Kuwait, Oman, Gibuti, Yemen, Marocco, Iran, Mauritania, Arabia Saudita, Camerun, Iraq.

La televisione parla soprattutto della Libia.
Secondo Human Rights Watch, che ha sede a Londra, i morti in Libia sono a questo punto 84. Secondo al Jazeera 120. Per le strade di Bengasi sono stati improvvisati degli obitori, la popolazione è stata esortata a donare sangue. Tripoli è relativamente tranquilla, ma la Cirenaica è in fiamme: Bengasi ed El Beida sono in mano ai ribelli, ci sono state manifestazioni e scontri a Ajdabiya, Zawiya e Derna. Saad Gheddafi – quello che era in rosa nel Perugia di Gaucci – sarebbe assediato da venerdì nell’albergo Uzu di Bengasi oppure sarebbe riuscito a scappare ma non a uscire dalla città. Per riportarlo a casa, il padre ha spedito un battaglione di 1.500 uomini comandato dal genero Abdullah Senoussi. L’altro figlio del colonnello, Khamis, guida contro i ribelli un manipolo di mercenari africani, fatti arrivare dal Benin. A Bengasi è capitato infatti che parte della truppa, formata da libici, si sia schierata con i manifestanti, rifiutandosi di sparare sulla folla. È l’esempio egiziano che fa scuola. Tutto questo non deve far pensare che spodestare Gheddafi sia semplice. Intanto i libici sono pochi, appena sei milioni su un territorio vasto sei volte l’Italia (4 abitanti per chiolometro quadrato). Poi stanno meglio degli egiziani, perché il rais ha abilmente distribuito una piccola parte degli enormi ricavi garantiti dal petrolio. Per far vincere la rivoluzione ci vorrebbe che entrasse in campo anche Tripoli, che i generali tradissero, che il sistema delle tribù, su cui Gheddafi si garantisce il potere da 42 anni, venisse scompaginato.

Ma ci conviene una caduta di Gheddafi?
Ieri Berlusconi ha fatto arrabbiare tutti quanti. Interrogato dai giornalisti, ha risposto: «Non ho sentito Gheddafi. La situazione è in evoluzione e quindi non mi permetto di disturbare nessuno». L’opposizione – indignata per queste parole – vuole che Frattini venga a riferire in Parlamento.

Berlusconi però potrebbe non avere torto a esser prudente. Gli interessi che legano l’Italia alla Libia sono davvero tanti.
Nel 2010 la Libia è stato il nostro primo fornitore di petrolio e il quarto fornitore di gas. La politica del governo è oltre tutto quella di privilegiare sempre di più le importazioni africane su quelle russe. Ci sono poi le partecipazioni che Gheddafi ha comprato in Italia: Eni, Unicredit (dove ha il 7%), Finmeccanica (un due per cento annunciato pochi giorni fa). A nostra volta noi siamo impegnati a risarcire i danni del colonialismo spendendo cinque miliardi nella costruzione di infrastrutture in Libia. Soldi che torneranno indietro perché Berlusconi ha concordato che a eseguire i lavori siano soprattutto imprese italiane. C’è infine la questione clandestini: Gheddafi li tiene fermi nei campi di concentramento, e questa politica potrebbe essere battuta dai manifestanti. Allora si tornerebbe agli sbarchi apocalittici, perché la Libia fa da collettore di tutti i potenziali clandestini d’Africa.

Che sta succedendo negli altri paesi?
Oggi scendono in piazza gli iraniani. C’è da avere paura. In Bahrein il re ha incaricato suo figlio di mediare con gli oppositori. Il figlio ha dato ordine alla polizia di tornarsene a casa e di lasciare che i manifestanti protestino. Non è servito a niente: l’opposizione pretende anche le dimissioni del governo. Nelle acque di questo arcipelago è ospitata la quinta flotta Usa. Gli oppositori al regime attuale sono sciiti, cioè filoiraniani.

Lei diceva l’altra volta che esiste un pericolo iraniano, e cioè che la fascia di tutte le rivoluzoni prenda una coloritura islamica e fondamentalista.
Questo pericolo è forte soprattutto in Yemen, dove ieri c’è stato un altro morto. In Marocco non si decidono a protestare con più forza proprio per paura del terrorismo: sono stati molti anni dominati da una setta che sgozzava la gente per strada senza la minima esitazione. È delicata anche la situazione dell’Arabia Saudita, che potrebbe restar vittima, per via dell’effetto domino, della vittoria dei rivoluzionari filo-iraniani del Bahrein. Ieri infatti c’è stata una manifestazione delle minoranze sciite nelle regioni petrolifere orientali. A proposito, il dittatore tunisino Ben Ali, fuggito all’estero, s’è rifugiato proprio in Arabia Saudita. Fonti francesi insistono che sia stato colpito da ictus e che sia morto. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 20/2/2011]

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