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 2011  febbraio 20 Domenica calendario

IL GRANDE BALZO CINESE, 201 MILIONI DI RICCHI

L’hanno preso in parola. O meglio, hanno preso le sue parole e le hanno trasformate in realtà. Che realtà: Deng Xiaoping diceva ai concittadini ancora intossicati dal pauperismo maoista, agli inizi degli anni Ottanta: «Diventare ricchi è glorioso» (zhifu guangrong). Trent’anni di riforme più tardi, i «ricchi» cinesi sono 95 milioni, più dei cittadini dell’intera Germania. Ma è il futuro che impressiona, quello che accadrà entro poco, almeno secondo un rapporto del centro studi di Confindustria. Nel 2015, infatti, cioè tra quattro anni, i benestanti della Repubblica Popolare — popolazione totale: un miliardo 350 milioni — saranno 201 milioni, ovvero quanti sono i cittadini di Italia, Francia e Germania messe insieme. La Cina dei ricchi batte i Grandi d’Europa, insomma. Ma il traguardo sarà superato e messo in soffitta nello spazio di un amen: nel 2020, i nuovi paperoni cinesi saranno 424 milioni, sempre secondo lo studio di Confindustria. E allora la popolazione eguagliata sarà quella dell’intera Europa Occidentale. Va bene, queste cifre da capogiro valgono fino a un certo punto. Va bene, in percentuale, i ricchi in Cina saranno sempre una minoranza in quell’immenso Paese. Però che minoranza. Con un reddito (a parità di potere d’acquisto) di 30 mila dollari, paragonabile a quello degli europei, questi cittadini potranno permettersi un livello di vita che ai loro genitori— non ai loro nonni— doveva apparire solo pochi anni fa non solo irraggiungibile ma, soprattutto, un’utopia. E non soltanto per motivi ideologici (che pure avevano la loro importanza nella Cina del passato). Oggi seconda potenza economica mondiale dietro gli Stati Uniti e davanti al Giappone, appena superato, la Repubblica Popolare si avvia a diventare da fabbrica del mondo a centro dei consumi mondiali. Un piccolo dato italiano che può aiutare a capire perché quando una farfalla sbatte le ali a Pechino noi tutti ne subiamo le conseguenze. Nel 2010, secondo la Coldiretti il valore delle esportazioni di vino italiano verso la Cina sono più che raddoppiate (+109%). Il mercato di putaojiu — il vino in cinese — è un’invenzione della Cina post-riforme. Un po’ come quello delle auto di lusso, Ferrari in testa (300 auto vendute nel 2010): da zero a valori miliardari in pochi decenni. Lo stesso vale per i prodotti agro-alimentari tipici del nostro Paese: qui l’aumento delle esportazioni verso l’Oriente di Grana Padano o Parmigiano Reggiano è a più 170%(la Coldiretti precisa che i volumi restano limitati, data la scarsa propensione dei cinesi verso i latticini), mentre per i diversi prodotti l’aumento delle esportazioni, in valore complessivo, è pari al 57%. Numeri, numeri, numeri. Dietro queste cifre, tuttavia, non si nascondono aride statistiche. Ma una realtà in divenire che, giustamente, ha portato a battezzare il ventunesimo secolo, il «secolo cinese» . Questi dati sottolineano come i nuovi ricchi d’Oriente diventeranno un’importante fonte di domanda mondiale e dunque, spiegano nel loro studio a Viale dell’Astronomia, un popolo di consumatori «molto rilevante per le imprese italiane, in particolare per i produttori di beni di fascia medio-alta, che devono fare i conti con la debolezza della domanda dei consumatori occidentali» . In base alle stime di Confindustria, nei prossimi dieci anni i consumi della classe benestante cinese dovrebbero passare dal 36%del Pil nel 2010 al 50%nel 2020, pari a 5.575 miliardi, ossia il 10,3%dei consumi mondiali. Aumentare il contributo dei consumi alla crescita del gigante asiatico è anche uno degli obiettivi prioritari del dodicesimo Piano quinquennale di Pechino per il periodo 2011-16. Tuttavia Confindustria avverte che la Cina è un Paese immenso e quindi «diventa essenziale per le imprese, non solo avere una stima della dimensione presente e futura della classe benestante, ma anche localizzarla, distinguendo tra province e tra aree urbane e rurali» . Insomma, va bene cercare di vendere buon vino e abiti firmati ai cinesi, ma attenti a non sbagliare destinazione. Nelle campagne aspettano ancora di entrare nell’epoca dei consumi: la rivoluzione borghese, lontano dalle città, non è ancora arrivata.
Paolo Salom