Roberto Satolli, Corriere della Sera 20/02/2011, 20 febbraio 2011
NON È VERO CHE LA VITA NON HA PREZZO
In un mondo che pretende di stabilire il prezzo di ogni cosa senza conoscere il valore di alcuna, quanto vale una vita umana? Il borsino va su e giù, ma la stima più accreditata è tuttora quella della americana Environmental Protection Agency (EPA), ovviamente espressa in dollari: 7,9 milioni. Non è una cifra che gli esperti sventolano volentieri. Qualche anno fa l’amministrazione Bush aveva cercato di ridurne il valore almeno per gli anziani, poi aveva ottenuto uno sconto a 7 milioni netti. Quando la stampa se ne era accorta, erano piovute critiche feroci: ci ha pensato Obama a riportarla a quota 7,9. Di fatto si usa questa valutazione quando si devono prendere decisioni politiche, soppesando i costi e i benefici di adottare un provvedimento pubblico, per esempio la riduzione dell’inquinamento in una città. La domanda in questo caso è: quanto siamo disposti a spendere per salvare una vita? Oppure all’inverso, quante vite siamo disposti a sacrificare per risparmiare denaro pubblico? Quando si fanno questi ragionamenti c’è chi si alza indignato a ricordare che la vita umana non ha prezzo. Sciocchezze: è evidente che un prezzo ce l’ha, visto che siamo disposti a mercanteggiare migliaia di morti l’anno (tra incidenti ed effetti dell’inquinamento) per il vantaggio di continuare ad avere una serie di comodità. Ma non ci piace che ce lo ricordino. Così all’Epa la giurista Lisa Heinzerling ha avuto l’idea di cambiare etichetta. Non più l’orribile termine di "valore di una vita statistica", d’ora in poi si parlerà’solo di "dollari per micro rischio l’anno". Non c’è dubbio che fa tutto un altro effetto, ma cosa vuole dire? Per "micro"si intende un rischio di morte su un milione, e il suo valore è, guarda caso, di 7,9 dollari.
Basta moltiplicare per un milione per scoprire che si tratta della stessa cosa, anche se formalmente non si attribuisce più un valore alla vita umana, ma ad un rischio. Nella sostanza non cambia nulla, ma si spera così, sfruttando la scarsa consuetudine del pubblico con la matematica e con il concetto di probabilità, di rendere meno indigesta una verità scomoda.
Roberto Satolli