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 2011  febbraio 20 Domenica calendario

NOSTALGIA DEL CALCIO DI JOE JORDAN

«Ho pochi denti, ma bastano per azzannare l’Inter». Con queste parole da film splatter, Joe Jordan si presentò ai giornalisti in un’insolita conferenza stampa di trent’anni fa, nel 1981. Erano da poco state riaperte le frontiere del calcio italiano agli stranieri.
Il Milan era ritornato in Serie A dopo la prima stagione in B della sua storia e aveva scelto proprio lui. Per la verità, non fu proprio una prima scelta. Inizialmente si era addirittura parlato di Cruijff e di Zico, poi del belga Ceulemans. Ma per un motivo o per l’altro, o perché troppo costosi, o perché non volevano venire a Milano, ognuno di quei contatti era presto sfumato. Così sul piatto era rimasto solo lui. Il centravanti Joe Jordan, detto lo Squalo. L’uomo dai pochi denti.
Insomma, il signore che Gattuso ha preso per il collo durante Milan-Tottenham di Champions League, l’assistente di Redknapp dal cranio pelato e lo sguardo da duro, non è semplicemente un ex giocatore del Milan. È il “primo” straniero del Milan agli albori degli anni ottanta. Nel cuore di quegli anni bui e sconquassati, ma anche frizzanti, anarcoidi, proletari della storia rossonera, che precedono la «rivoluzione berlusconiana». Detto in altri termini: nel momento in cui Gattuso voleva fare a mazzate con Joe Jordan, quasi fossero in un vicolo di Schiavonea marittima e non davanti a milioni di telespettatori, era consapevole di innescare un vorticoso cortocircuito storico, antropologico, culturale, e non solo – ovviamente – calcistico?
Jordan, scozzese di nascita, aveva perso i quattro denti davanti in uno scontro di gioco dei primi anni settanta, quando giocava nel Leeds. Non se li era mai fatti ricostruire, così andava in giro con una dentiera che – puntualmente – a ogni inizio partita lasciava negli spogliatoi, sfoderando i soli incisivi in faccia agli avversari. Nel calcio di oggi, personaggi del genere, che vengono dal nulla, e che sembrano andare dal calcio alla letteratura o al cinema e da queste arti ritornare al calcio, ce ne sono sempre di meno. Si stanno rapidamente estinguendo. Ma Jordan (come tante altre meteore del calcio degli anni ottanta) era uno di loro. Chi si ricorda oggi non di Platini o di Falcao, ma di Orlando Pereira, Pedrinho e Luvanor, Jorge Washington Caraballo, Geronimo Barbadillo e soprattutto di Luis Silvio Danuello?
In Inghilterra Joe Jordan fu soprannominato “Jaws” (Fauci), perché in campo, quando apriva la bocca, ricordava il cattivo interpretato da Richard Kiel in Agente 007. La spia che mi amava e Agente 007. Moonraker: Operazione spazio. Si chiamava Jaws anche lui, appunto, ed era un gigante dai terrificanti denti d’acciaio. Nella versione italiana del film, Jaws divenne Squalo, e fu quello anche il soprannome del centravanti scozzese in Italia.
Nella stagione 1981-82, Jordan azzannò davvero l’Inter. Accadde una sola volta, e fu in un 2-2 di Coppa d’Italia. C’è anche una foto d’epoca che lo ritrae a braccia alzate davanti alla curva, mentre urla a squarcia gola con gli incisivi spaiati e il vuoto in bocca. Lo Squalo ha appena colpito, e Oriali lo guarda intontito – le mani sui fianchi – a pochi metri di distanza...
Per il resto quella stagione fu un disastro. In campionato Jordan segnò solo due gol, uno al Como, l’altro al Cesena nell’ultima giornata. Un bottino molto magro per un centravanti, che difatti non evitò la nuova retrocessione in Serie B. Un altro gol lo segnò su rigore in una partita di Mitropa Cup (che il Milan vinse) contro i cechi del Vitkovice.
L’anno successivo andò meglio, e Jordan in seguito la ricordò perfino come una delle migliori (se non proprio la migliore) della sua carriera. In Serie B segnò 10 gol, riportando i rossoneri in Serie A, ma alla fine della stagione fu ceduto al Verona. A ribadire che il fiuto per il calcio estero si sarebbe affinato solo in seguito, il Milan gli preferì il più incredibile bidone della sua storia ultracentenaria: l’anglo-giamaicano Luther Blisset.
Tuttavia quei 10 gol sui campi della Serie B hanno lasciato il segno, tanto che il nome di Jordan è stato inserito nella lista dei 110 giocatori più illustri della storia del Milan, insieme a Schiaffino e Van Basten, Baggio e Gullit.
Avrà davvero, martedì sera, apostrofato Gattuso, come ha poi riferito il suo procuratore, con le ignobili parole «Fucking Italian Bastard»? Tutto può essere, ma in realtà un insulto razzista del genere sembra poco plausibile, e del resto lo stesso Jordan, intervistato dalla Gazzetta dello Sport, ci ha tenuto subito a precisare: «Non è vero, non è giusto. Non credo di dovermi difendere da questa accusa. Chi mi conosce sa che non posso aver detto una cosa del genere: i miei tanti amici a Milano e in Italia, tutti i tifosi del Milan che mi hanno conosciuto nelle mie stagioni in rossonero». Gli avrebbe detto solo di andare via, di levarsi dai piedi. Certo, in un linguaggio da Squalo. Con un ghigno da Squalo. Ma niente di più.
All’indomani della partita il giornale inglese The Independent ha elencato I cinque motivi per aver paura di Joe Jordan. Il più convincente sembra essere questo: nel 2007 il Times lo ha inserito al trentaquattresimo posto nella lista degli uomini più duri della storia del calcio. Al primo posto, giusto per capire il livello, c’è il basco Goikoetxea, colui che spezzò in due la caviglia di Maradona con un’entrata killer. Per la cronaca, Ringhio Gattuso non rientra tra i primi cinquanta. Ed è questo il principale motivo per cui Souness (altra leggendaria figura scozzese approdata in Italia negli ottanta) ha detto che se i due fossero rimasti cinque minuti da soli in una stanza, Gattuso avrebbe avuto ben poco da urlare a squarcia gola...
Tra le risse o gli accenni di rissa ricordati sempre da The Independent, il più divertente pare essere avvenuto all’inizio di questa stagione. Venuto quasi alle mani con Andy Woodman, allenatore dei portieri del Newcastle, Jordan gli ha lanciato il guanto di sfida con parole degne dei ragazzi della 56° strada: «Any time you like, any fucking time you like». Insomma, con Gattuso non deve essere andata molto diversamente. Le parole che lo hanno fatto inalberare non devono essere state molto diverse.
Tuttavia la cosa più interessante del violento screzio è proprio il cortocircuito storico a cui rimanda. Non semplicemente lo scontro tra uno dei calciatori più scozzesi del calcio italiano (Gattuso, che ha giocato nei Ranger) e uno dei calciatori più italiani del calcio scozzese (il vecchio Jordan, che dopo aver lasciato il Verona, si abbonò al Guernin Sportivo, per seguire il nostro campionato). Non semplicemente lo scontro tra chi l’altra sera indossava la fascia di capitano del Milan e una vecchia gloria. Ma, in particolare, lo scontro tra il Milan odierno e le sue viscere pre-berlusconiane. Che è, come dire, tra il calcio di prima e il calcio di dopo la Grande Mutazione.
Joe Jordan viene da un calcio fatto di fango, pioggia, scontri aspri. Di spalti in legno e birra a fiumi. Un calcio, che anche in Inghilterra, oggi non esiste più, se non nelle serie inferiori. Col Leeds vinse un campionato, una Coppa d’Inghilterra e una Coppa delle Fiere. Perse la finale di Coppa dei Campioni con il Bayern. Poi passò al Manchester United, una delle squadre più odiate dai tifosi del Leeds, che difatti non gliel’hanno ancora perdonata. Senza mezzi termini, lo considerano ancora un “traditore”, al pari di altri grandi “traditori”: Gordon McQueen, Eric Cantona, Rio Ferdinand.
Dopo la parentesi italiana, Jordan andò a giocare al Southampton. Segnò un po’ di gol, poi concluse la carriera col Bristol. In seguito, si è messo ad allenare, o ad assistere altri allenatori. Di recente, proprio poco prima della partita di San Siro, Jordan aveva dichiarato: «Il Milan è un grande club, uno dei più grandi club del mondo. Quando ci si sposta all’estero, è sempre una nuova esperienza. Sono stato in Italia per tre anni, ed è stata l’esperienza migliore della mia carriera».
Ecco, una persona che dice una cosa del genere, che considera l’esperienza migliore della propria carriera non una finale di Coppa dei Campioni ma l’aver indossato la maglia rossonera (con sponsor improbabili) contro la Cavese o la Sambenedettese, merita un enorme rispetto. E sicuramente lo riconoscerà anche un lottatore come Gattuso, un giocatore in cui – a parte qualche colpo di testa – qualcosa del vecchio calcio ancora permane.