Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  febbraio 20 Domenica calendario

COSÌ SIAMO RISORTI

La lezione “italiana” sul palco dell’Ariston
Attraverso Mameli, Garibaldi, Mazzini e tutti i ragazzi morti per la patria ci ha raccontato la storia dell’unità nazionale
Pubblichiamo di seguito ampi stralci
dell’esegesi dell’Inno di Mameli fatta
giovedì sera a Sanremo
da Roberto Benigni.
Uomini memorabili hanno dato la vita non in senso poetico ma proprio fisico per noi. Si parla spesso di Risorgimento, ma vista dall’alto fu un’impresa di enorme grandezza. Tutto il mondo aveva gli occhi sull’Italia. Se voi prendete la storia del mondo, in quel momento lì è concentrata la grandezza. Una grandezza senza pari, intrisa di gioventù. Erano tutti ragazzi sul serio, Goffredo Mameli aveva vent’anni, come Michele Novaro che ha scritto la musica dell’inno. Ma anche gli altri, Mazzini, Cavour, erano ragazzini. Eran tutti dei ragazzi, tutti giovani. Tutti morti a 25, 26, 27, 28 anni e hanno dato davvero la vita per noi. Tutto il mondo ci guardava, Garibaldi era un vero mito: altro che Che Guevara, Bono, i Beatles o i Rolling Stones. Garibaldi era una cosa impressionante per tutti, era detto El diablo, era impressionante per la bellezza, l’ardore, il coraggio. Era l’eroe dei due mondi (non sto parlando di Marchionne, sempre di Garibaldi...).
(...) I più grandi scrittori dell’epoca, come il duca di Wellington, Charles Dickens o come Alessandro Dumas padre, quello de “I tre Moschettieri”, che seguiva Garibaldi col taccuino, in tutto il mondo, questi personaggi si tassavano per finanziare quest’impresa di bellezza che c’era in Italia, di grandezza immensa, eroica, epica. Gli italiani erano diventati un mito, li seguivano, e ovunque ci fosse un’ingiustizia veniva detto: “Chiamiamo Garibaldi!” (...)
Prima la cultura
della nazione
MAMELI NEL 1847 aveva vent’anni. Poi arriverà il ‘48, si dice ancora “è successo un ‘48”, le cinque giornate di Milano, c’erano Manzoni, Verdi, perché l’Italia è l’unico paese al mondo dov’è nata prima la cultura e poi la nazione.
(...) Erano persone mirabili, Mazzini, Cavour, Garibaldi, tutti e tre entrati in politica e usciti dalla politica più poveri di come c’erano entrati, ma hanno arricchito gli italiani, enormemente. Un paese che non proclama i suoi valori con forza è pronto per l’oppressione e la servitù. Se non ci si ricorda del nostro passato non si sa neanche dove stiamo andando.
(...) La Parola Risorgimento l’ha usata per primo l’Alfieri “perché un giorno tu inestinguibile risorgerai, magnanima, una e libera”. Risorgere è una parola che viene dal Vangelo, religiosa, è proprio una Resurrezione. L’Italia era un corpo dilaniato, posseduto, violentato, stuprato, saccheggiato. Il corpo più bello del mondo.
Mameliavevavent’anni,conNovaro, il musicista, una sera stavano a Torino, da degli scrittori, tutti patrioti. Arriva un pittore, Barzini, con un foglio e dice a Novaro: “Guarda cosa ti manda Goffredo!”. Loro stavano cercando l’Inno d’Italia, Novaro aveva scritto la musica Allegro marziale, una marcetta perfetta per un inno.
(...) Novaro lo lesse è disse che era bellissima, si commosse, andò al pianoforte, gli cadde la lanterna sul foglio, bruciò il foglio, bruciò il pianoforte, ma nell’entusiasmo se lo ricordò tutto a memoria.
Da quel momento tutti lo cantavano. Giuseppe Garibaldi con le sue camicie rosse, (dal tessuto rubato a un carico diretto ai macellai di Buenos Aires) che andarono a liberare l’Italia dai Borboni, (c’è ancora chi ha nostalgia di loro ma erano terrificanti, bastava dire una cosa diversa da quella che pensava l’altro e ti buttavano nelle galere) e il granduca di Toscana era un fantoccio nelle mani degli austriaci. Un’Italia dilaniata, continuamente. (...) Mameli scrisse così: “Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta”. Ripete due volte Italia, perché all’epoca bisognava sentirla che c’era questa Italia (immaginatevi questo ragazzo di vent’anni morto sei mesi dopo aver scritto l’inno insieme a Garibaldi nella difesa della Repubblica romana per una ferita alla gamba). “L’Italia s’è desta”. Svegliatevi! Svegliamoci! L’unica maniera per realizzare i propri sogni è svegliarsi!”. (...) “Dell’elmo di Scipio s’è cinta la testa”. L’Italia s’è svegliata e s’è messa l’elmo di Scipione, Publio Cornelio Scipione l’Africano, il più grande generaledituttiitempichenel202avanti Cristo sconfisse Annibale a Cartagine. (...)“Dov’èlavittoria?Leporgala chioma, che schiava di Roma Iddio la creò”. Come una dea. Ed è vero, perché nessun’altro luogo al mondo ha avuto un’avventura bella come quella della città di Roma. Qualcuno, a volte, sbaglia il soggetto. Non è l’Italia schiava di Roma, è la vittoria.
(...) L’unione dell’Italia è la ricomposizione amorosa di un corpo fatto a pezzi. Solo degli spiriti immensi potevano dire “facciamo l’Italia”.
(...) “Stringiamci a coorte, siam pronti alla morte, stringiamci a coorte l’Italia chiamò”. La coorte, che non è la corte, era la decima parte della legione romana, 600 fanti, (in tutto erano 6mila) ed era una disposizione che quando si vedeva faceva paura come poche altre al mondo. Quindi stringiamci a coorte, stiamo uniti, perché uniti non ci può vincere nessuno. (...)
“Noisiamodasecolicalpesti,derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi. Raccolgaci un’unica bandiera, una speme di fonderci insieme già allora suonò”. Facciamo un’unica bandiera, pensarono, prima c’era la coccarda azzurra dei Savoia ma non c’era una bandiera.
Mazzini, che fondò la Giovine Italia, un tipo emaciato, torvo, tutto sofferente era un cervello immenso. Metternich, l’uomo che in Austria ha fatto il congresso di Vienna, che ha deciso le sorti della storia ha lasciato scritto: “Io ho incontrato sultani, zar, imperatori, principi, re, e li ho bloccati tutti. Solo con una persona non m’è riuscito fare niente, un italiano facondo come l’uragano, instancabile come un innamorato e il suo nome è Giuseppe Mazzini”. Fondò la Giovine Italia, ci ha dato il nostro avvenire. Se siamo qui che si può festeggiarel’unitàd’Italia,talmentebellada permettere che qualcuno dica “non la festeggio”, con tutta la libertà, vuol dire che abbiamo vinto. (...)
Il tricolore
la nostra bandiera
LA NOSTRA BANDIERA venne scelta da Mazzini da un verso di Dante Alighieri, nel 30° del Purgatorio, l’apparizione di Beatrice. Quando appare dice “sovra candido vel, cinta d’uliva, donna m’apparve sotto verde manto, vestita di color di fiamma viva”. Arriva vestita “sovra un candido vel” bianco, (“cinta d’uliva” la sapienza), “sotto verde manto” , “vestita di color di fiamma viva” rosso. Quindi la nostra bandiera viene da Dante Alighieri e non c’è altro popolo con i colori del poeta più grande del mondo. Vogliategli bene a quella bandiera.
“Uniamoci, amiamoci, l’unione e l’amore rivelano ai popoli le vie del Signore. Giuriamo far libero il suolo natio: uniti, per Dio, chi vincer ci può?”. L’unione e l’amore ricorrono moltissime volte.
(...) E poi le donne del Risorgimento. La Contessa di Castiglione, la Trivulzio di Belgioioso che a sue spese portava dei battaglioni da Napoli a Milano a combattere per liberare i milanesi. La Certosa di Parma di Stendhal è ispirato a lei. Anche Hayez l’ha dipinta. Poi la Blondel, la Paolucci, Anita Garibaldi morta incinta a seguito del marito per andare a Venezia scappando dai nemici.
(...) E non hanno mai avuto diritti. Le donne il
voto l’hanno
avuto nel 1946. La prima donna ministro è stata Tina Anselmi nel 1976, ministro del Lavoro. (...)
“Dall’Alpi a Sicilia, dovunque è Legnano,ogn’uomdiFerrucciohailcore, ha la mano”. Questa è una storia d’Italia, di tutti i luoghi sventrati dagli stranieri,daimercenari.Legnano,anche se è un pezzo piccolo dell’Italia è tutta l’Italia”. Loro ci sono morti per queste cose qua. A Legnano si misero insieme tutti i comuni Milano, Cremona, Brescia, Bergamo fecero la Lega Lombarda contro Federico Barba-rossa. Per fare questa Lega avevano giurata fedeltà fino alla morte e distrussero Barbarossa, che disarcionato scappò via a piedi.
(...) Ferruccio è Francesco Ferrucci, siamo nel 1176. I tedeschi erano in tutto il nord d’Italia, qui invece siamo in Toscana dove ci sono gli spagnoli e hannoassediatoFirenze,laRepubblica fiorentina, libera, perché abbiamo inventato noi la libertà dei Comuni, che non c’era nel mondo. Ferrucci li stava ammazzando tutti finché fu aggredito a Gavinana da Maramaldo (l’avrete sentito dire “un atto maramaldesco” è l’uomo più vile del mondo ). Perché Ferrucci era ferito ad un ginocchio, tre giorni di viaggio, aveva la malaria, aveva la febbre, era ferito, e Maramaldo lo raggiunse, al soldo degli spagnoli, mercenario, italiano ma venduto, lo prese e lo ammazzò.PrimadiammazzarloFerruccidisse la famosa frase “vile, tu uccidi un uomo morto” ma a lui non fegò niente, lo uccise e se ne andò. Alla fine gli andò male perché la signora Aldobrandini, invitata a un ballo da Maramaldo, davanti a tutti disse: “Nessuna che abbia un po’ di contegno ballerebbe con un verme come voi”. Ci fu un lungo applauso e lui finì la vita nel disonore.
“I bimbi d’Italia si chiaman balilla”. Nel 1700 a Genova c’erano gli asburgici, che violentavano tutti, c’erano condizioni di vita tremende, non li sopportavano più. Una volta persero dei cannoni nel fango e frustarono dei genovesi perché li aiutassero a tirarli fuori per bombardare Genova. Allora un ragazzino di 14 anni, che si chiamava appunto “balilla” di soprannome, prese un sasso e in dialetto disse “comincio?”. Quel sasso fu la scintilla di una rivolta di popolo e li spappolarono. (...)
Morti perché noi
vivessimo la patria
“IL SUON D’OGNI squillo i vespri suonò”.Siamonel1282aPalermo,dove c’erano i francesi, gli angioini. C’eranosoprusi,unacosatremenda.Aun certo punto mentre entravano in chiesa uno dei francesi perquisì una donna per vedere se era armata ma la tastava un po’ troppo. Il marito della donna gli levò la spada e lo uccise. La scintilla che fece traboccare il vaso. Li spappolarono anche lì. (...)
“Son giunchi che piegano le spade vendute: Già l’Aquila d’Austria le pennehaperdute.Ilsangued’Italia,il sangue Polacco, bevé, col cosacco, ma il cor le bruciò”. Le spade vendute sono i mercenari austriaci. Il sangue italiano e il sangue polacco è perché l’Austria, alleata con la Russia, smembrò la Polonia e la dilaniò. Il cor le bruciò perché non fu un guadagno quello che fecero ma stavano andando giù alla rovina.
(...) Tutti questi ragazzi, non potete sapere quanti ne sono morti per noi, ma proprio tanti. Il Risorgimento non è stato fatto dalle classi colte, ma dal popolo. E’ uno dei momenti della storia più grandi non solo dell’Italia, ma del mondo. É memorabile quello che sono riusciti a fare i nostri fratelli. Loro hanno imparato a morire per la patria perché noi potessimo vivere per la patria.
Siate felici perché viviamo in un paese memorabile. E se qualche volta la felicità si scorda di voi, voi non scordatevi della felicità. Per essere felici deve bastare poco, non dev’essere cara la felicità, perché se costa cara non è di buona qualità.