Antonella Olivieri, Il Sole 24 Ore 20/2/2011, 20 febbraio 2011
LA VITTORIA DEL MERCATO: NELLA GARA DEI LISTINI IL PIÙ FORTE DETTA LEGGE
Parliamoci chiaro: i «merger of equals» in finanza non esistono. C’è sempre una parte che domina l’altra e quando si lascia mano libera al mercato non può essere diversamente. I due poli che stanno per ridisegnare la geografia delle Borse mondiali saranno pure bicefali – avranno due quartier generali – ma l’uno, il raggruppamento New York Stock Exchange-Euronext-Deutsche Börse, nasce sotto l’egida tedesca, e nell’altro, Tmx (Toronto)-Lse-Borsa italiana, c’è un’egemonia della City che Londra non sarebbe riuscita a mantenere se non avesse già inglobato Milano.
A vincere è il più forte, che mai si sarebbe immaginato essere Francofore e non Wall Street. Come dimostra la governance, che nel board unificato del primo polo assegna una maggioranza di nove membri su 17 ai tedeschi, e nel secondo di otto su 15 all’Lse (inclusi tre italiani). A uscire sconfitto dalla guerra delle Borse è il modello federativo – portato avanti da Parigi in Euronext con Amsterdam, Bruxelles e Lisbona – che poteva dare udienza alle istanze collettive dei paesi partecipanti. Ma alla fine anche Euronext ha dovuto sottomettersi alla legge del più forte. Tant’è che, sull’asse Francoforte-New York, nella cabina di regia del comitato esecutivo ci sarà solo un componente che parla francese, il capo dei servizi tecnologici, mentre ai tedesci andranno quattro posti su otto con responsabilità sulla finanza, i derivati, il post-trading e la vendita dati.
Nella loro ottica le forze di mercato non hanno sbagliato mira: hanno prodotto i campioni mondiali dei pesi massimi, un concentrato di potere poco controllabile e senza precedenti. In assoluto, il numero uno per dimensioni è il polo Nyse-Euronext-DB, ma per numero di società quotate – 6707 contro 4217 – la leadership spetta all’asse Tmx-Lse, che si aggiudica anche la palma della redditività. Mettiamoli a confronto i due astri nascenti: lo facciamo utilizzando i dati degli ultimi bilanci riclassificati dall’ufficio studi Mediobanca. La Borsa franco-tedesca-americana, dunque, conta un esercito di quasi 7mila dipendenti, quella anglo-canadese è appena un terzo. Per ricavi operativi il circuito che comprende Borsa italiana è un quinto dell’altro, ma per redditività è la combinazione più riuscita con una marginalità che supera il 46%, contro poco più del 14% dei rivali. A livello patrimoniale c’è tanto «immateriale», tant’è che tolte le poste «intangibili» il capitale netto per entrambi i poli risulta negativo. Più appesantita è la struttura finanziaria di Lse-Tmx, dato che i debiti raggiungono il 90% dei ricavi: anche se il conto è salato – il bond decennale emesso nel 2009 da Londra paga un tasso superiore al 9% – con i livelli di redditività sprigionati non ci sono problemi. A patto di riuscire a mantenerli. Il che spiega perchè le Borse siano «costrette» a unirsi, dal momento che la concorrenza dei circuiti alternativi è già riuscita a strappare oltre il 40% degli scambi a Londra e ancora di più a Wall Street.
Dalla gestazione i due poli non escono comunque gemelli. Deutsche Börse, che da sola supera i ricavi di Nyse ed Euronext messi insieme – 2.900 milioni di dollari nel 2010 contro 2.511 –, porta in dote oltre al mercato azionario anche Eurex nei derivati (joint con gli svizzeri), il settlement di Clearstream, il clearing di Eurex, la proprietà della piattaforma di trading della Borsa irlandese e di quella austriaca, la maggioranza (con partner elvetico) della società provider degli indici Stoxx, la joint con Madrid per la vendita dei dati di Borsa. Dall’altra parte c’è il mito appannato di Wall Street, che concentra il valore del Nyse nel trading azionario, le Borse di Parigi, Amsterdam, Bruxelles e Lisbona e il mercato a termine del Liffe londinese. DB è concentrata su derivati e post-trading, che contribuiscono rispettivamente al 40% e al 38% dei ricavi, mentre cash trading e listing pesano solo per il 12% e il resto viene dalla vendita dei dati. Nyse-Euronext è invece focalizzata su listing e trading che alimentano il 49% delle entrate, i derivati contano per il 33%, dati-tecnologia per il restante 18%.
L’alleanza Lse-Tmx si presenta più diversificata. C’è Borsa italiana che replica il modello a «silos verticale» di Deutsche Börse, con il listino azionario e obbligazionario retail, il mercato dei derivati, il post-trading di Montetitoli e Cassa di compensazione e garanzia, e l’aggiunta rilevante dell’Mts, il mercato all’ingrosso di bond e titoli di Stato: il tutto, secondo gli ultimi dati di bilancio pubblicati, contribuisce al 36% dei ricavi del gruppo Lse, contributo che si diluirà a un decimo con l’arrivo di Toronto. Londra è sostanzialmente mercato azionario tradizionale, con la recente aggiunta del circuito alternativo Turquoise. Tmx vuol dire la rete di Borse canadesi – che per numero di quotate, anche se non per capitalizzazione, supera addirittura Londra (3741 contro 2675) – mercato delle pmi, listino obbligazionario, derivati (c’è anche un mercato delle opzioni a Boston), tutti i servizi di post-trading e due mercati dell’energia.
Questo sulla carta, perchè la guerra dei listini non è stata finora avara di colpi di scena: non è escluso che il Nasdaq tenti di riportare la bandiera a stelle e strisce sul pennone di Wall Street. Prima di arrivare al traguardo le due SuperBorse dovranno comunque saltare più di un ostacolo. Per Nyse-DB il più insidioso è rappresentato dal quasi-monopolio che verrebbe a crearsi nei derivati europei, dato che le quote di Eurex e Liffe sommate arriverebbero al 94% dei prodotti azionari e addirittura al 98% nel reddito fisso. Il polo Lse-Tmx dovrà invece fare i conti con le autorità canadesi, preoccupate dello spostamento a Londra dei poteri decisionali, con l’atteggiamento guardingo delle autorità italiane e con il rammarico di chi vedrà finalmente nascere la Borsa dell’euro, ma senza Milano. In prospettiva resta anche l’incognita sul destino delle strutture di clearing, settlement e custodia titoli che fanno parte del patrimonio di Borsa Spa (mentre Londra ne è sguarnita). Nella ripartizione dei compiti, a Borsa italiana è stata assegnata la responsabilità del post-trading europeo (che però non riuscirà a sviluppare fino a quando non si scioglierà il nodo delle direttive Ue), ma anche Toronto ha le sue carte da giocare su questo tavolo: chi prevarrà alla lunga?