Alberto Negri, Il Sole 24 Ore 20/2/2011, 20 febbraio 2011
I CERCHI DI POTERE DEL COLONNELLO
Al quartier generale di Gheddafi si arriva attraversando la Splendida Porta, nella Tripoli ottomana, dove negli anni Trenta gli italiani costruirono una grande caserma che poi diventò la residenza del Colonnello: Bab el Aziziyyah. La fortezza, con le famose tende, è stato l’obiettivo di qualche fallito colpo di stato e il bersaglio dell’attacco americano del 15 aprile del 1986, quando i caccia uccisero Hanna, figlia adottiva del leader. Il suo letto è conservato sotto una teca di vetro. È qui che vengono ricevuti gli ospiti e si riunisce il consiglio del comando della rivoluzione con i superstiti del golpe del 1969.
La macchina del potere è in mano prima di tutto alla famiglia e al clan dei Gheddafi. Per oltre vent’anni, prima di cadere in disgrazia, il suo braccio destro è stato l’amico Abdul Salam Jallud, affiancato dal gruppo di soldati che sbalzarono dal trono Idriss Senussi nel settembre 1969, una ventina giovani ufficiali quasi tutti addestrati all’accademia di Bengasi e fieramente avversi alle tribù senussite della Cirenaica. E questo spiega già perché tra Gheddafi e la Cireanica non corra buon sangue. Fu a Bengasi, dal balcone del palazzo un tempo occupato dal viceré Rodolfo Graziani, che Idriss nel 1951 si proclamò sovrano della la Libia indipendente.
Lo stato libico, nel senso formale del termine, esiste soltanto sulla carta. Nonostante 40 anni di mobilitazione delle masse, la Libia è costituita di fatto non da istituzioni ma da un network di organizzazioni informali e non elette che rispondono tutte al Colonnello.
Il primo cerchio del potere è formato dal movimento dei Liberi ufficiali, il Rabitat, dove spiccano Seyed Muhammad Qadhaf al Dam, nipote del leader e il capo della sicurezza Abdullah al Sanusi. In questo gruppo sono inseriti i figli del Colonnello come Saad, l’ex calciatore inviato adesso a occuparsi dell’ordine pubblico a Bengasi, Muatassim, consigliere della sicurezza nazionale e Khamis, comandante militare di battaglione. E naturalmente c’è anche Seif Islam, il riformista, che nel 2009 sembrava avere assunto il posto di numero due e oggi fa la parte del liberale velleitario. Al secondo livello si trova il Forum dei compagni di Gheddafi, un centinaio di membri che occupano i posti principali nell’amministrazione. Il terzo cerchio è rappresentato dai Comitati sociali popolari, un organismo di capi tribali che ha il compito, fondamentale, di distribuire i sussidi e qualche bastonata agli oppositori.
Dopo decenni di retorica populista la Libia è essenzialmente in mano ai clan. Il quarto gruppo di potere è di fatto composto soltanto di membri della tribù di Gheddafi con un ruolo di primo piano per il generale Ahmed e il nipote Seyed, che secondo quanto dichiarato una volta dallo stesso Gheddafi sarebbe il suo successore in caso di scomparsa improvvisa.
Più che sulle forze armate, 80mila uomini non sempre di sicura fedeltà, Gheddafi conta sull’intelligence del Muqatab Malumat al Qaid, creato negli anni 70 dalla defunta Germania Est, che ha il suo comando nel quartiere generale di Bab al Aziziyya. Poi ci sono le milizie, vero nucleo duro del potere: le Guardie Rivoluzionarie, la Guardia del Popolo, i Comitati popolari di purificazione. Uomo di inesauribile fantasia il Colonnello ha sempre trovato nomi nuovi per dare una veste accettabile a un regime che da oltre 40 anni è soltanto e soprattutto una dittatura.