La Gazzetta dello Sport, 20 febbraio 2011
Lista dei paesi medio-orientali o africani in rivolta o dove si svolgono manifestazioni di protesta: Libia, Algeria, Bahrein, Kuwait, Oman, Gibuti, Yemen, Marocco, Iran, Mauritania, Arabia Saudita, Camerun, Iraq

Lista dei paesi medio-orientali o africani in rivolta o dove si svolgono manifestazioni di protesta: Libia, Algeria, Bahrein, Kuwait, Oman, Gibuti, Yemen, Marocco, Iran, Mauritania, Arabia Saudita, Camerun, Iraq.
• La televisione parla soprattutto della Libia.
Secondo Human Rights Watch, che ha sede a Londra, i morti in Libia sono a questo punto 84. Secondo al Jazeera 120. Per le strade di Bengasi sono stati improvvisati degli obitori, la popolazione è stata esortata a donare sangue. Tripoli è relativamente tranquilla, ma la Cirenaica è in fiamme: Bengasi ed El Beida sono in mano ai ribelli, ci sono state manifestazioni e scontri a Ajdabiya, Zawiya e Derna. Saad Gheddafi – quello che era in rosa nel Perugia di Gaucci – sarebbe assediato da venerdì nell’albergo Uzu di Bengasi oppure sarebbe riuscito a scappare ma non a uscire dalla città. Per riportarlo a casa, il padre ha spedito un battaglione di 1.500 uomini comandato dal genero Abdullah Senoussi. L’altro figlio del colonnello, Khamis, guida contro i ribelli un manipolo di mercenari africani, fatti arrivare dal Benin. A Bengasi è capitato infatti che parte della truppa, formata da libici, si sia schierata con i manifestanti, rifiutandosi di sparare sulla folla. È l’esempio egiziano che fa scuola. Tutto questo non deve far pensare che spodestare Gheddafi sia semplice. Intanto i libici sono pochi, appena sei milioni su un territorio vasto sei volte l’Italia (4 abitanti per chiolometro quadrato). Poi stanno meglio degli egiziani, perché il rais ha abilmente distribuito una piccola parte degli enormi ricavi garantiti dal petrolio. Per far vincere la rivoluzione ci vorrebbe che entrasse in campo anche Tripoli, che i generali tradissero, che il sistema delle tribù, su cui Gheddafi si garantisce il potere da 42 anni, venisse scompaginato.
• Ma ci conviene una caduta di Gheddafi?
Ieri Berlusconi ha fatto arrabbiare tutti quanti. Interrogato dai giornalisti, ha risposto: «Non ho sentito Gheddafi. La situazione è in evoluzione e quindi non mi permetto di disturbare nessuno». L’opposizione – indignata per queste parole – vuole che Frattini venga a riferire in Parlamento.
• Berlusconi però potrebbe non avere torto a esser prudente. Gli interessi che legano l’Italia alla Libia sono davvero tanti.
Nel 2010 la Libia è stato il nostro primo fornitore di petrolio e il quarto fornitore di gas. La politica del governo è oltre tutto quella di privilegiare sempre di più le importazioni africane su quelle russe. Ci sono poi le partecipazioni che Gheddafi ha comprato in Italia: Eni, Unicredit (dove ha il 7%), Finmeccanica (un due per cento annunciato pochi giorni fa). A nostra volta noi siamo impegnati a risarcire i danni del colonialismo spendendo cinque miliardi nella costruzione di infrastrutture in Libia. Soldi che torneranno indietro perché Berlusconi ha concordato che a eseguire i lavori siano soprattutto imprese italiane. C’è infine la questione clandestini: Gheddafi li tiene fermi nei campi di concentramento, e questa politica potrebbe essere battuta dai manifestanti. Allora si tornerebbe agli sbarchi apocalittici, perché la Libia fa da collettore di tutti i potenziali clandestini d’Africa.
• Che sta succedendo negli altri paesi?
Oggi scendono in piazza gli iraniani. C’è da avere paura. In Bahrein il re ha incaricato suo figlio di mediare con gli oppositori. Il figlio ha dato ordine alla polizia di tornarsene a casa e di lasciare che i manifestanti protestino. Non è servito a niente: l’opposizione pretende anche le dimissioni del governo. Nelle acque di questo arcipelago è ospitata la quinta flotta Usa. Gli oppositori al regime attuale sono sciiti, cioè filoiraniani.
• Lei diceva l’altra volta che esiste un pericolo iraniano, e cioè che la fascia di tutte le rivoluzoni prenda una coloritura islamica e fondamentalista.
Questo pericolo è forte soprattutto in Yemen, dove ieri c’è stato un altro morto. In Marocco non si decidono a protestare con più forza proprio per paura del terrorismo: sono stati molti anni dominati da una setta che sgozzava la gente per strada senza la minima esitazione. È delicata anche la situazione dell’Arabia Saudita, che potrebbe restar vittima, per via dell’effetto domino, della vittoria dei rivoluzionari filo-iraniani del Bahrein. Ieri infatti c’è stata una manifestazione delle minoranze sciite nelle regioni petrolifere orientali. A proposito, il dittatore tunisino Ben Ali, fuggito all’estero, s’è rifugiato proprio in Arabia Saudita. Fonti francesi insistono che sia stato colpito da ictus e che sia morto. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 20/2/2011]