AMEDEO LA MATTINA, La Stampa 20/2/2011, 20 febbraio 2011
Lo scontro non piace ad Alfano - Non ce la fa proprio. Aveva promesso a Letta, Tremonti, Bossi e a mezzo mondo che avrebbe fatto il buono, che avrebbe parlato solo di questioni economiche e di governo, lasciando sullo sfondo le sue personali vicende giudiziarie
Lo scontro non piace ad Alfano - Non ce la fa proprio. Aveva promesso a Letta, Tremonti, Bossi e a mezzo mondo che avrebbe fatto il buono, che avrebbe parlato solo di questioni economiche e di governo, lasciando sullo sfondo le sue personali vicende giudiziarie. Ma siccome la lingua batte dove il dente duole (è proprio il caso di dirlo...) Berlusconi è ritornato ad attaccare frontalmente i magistrati. Ma era da tempo che non si scagliava contro la Corte Costituzionale che a suo dire cancellerebbe «leggi giuste». Un vecchio e velenoso refrain sulla Consulta che ha sempre irritato il Capo dello Stato perché viene additato al pubblico ludibrio un organo di garanzia. La cosa che più sorprende è che il siluro sia stato sparato verso quella Corte che potrebbe essere chiamata dallo stesso premier a decidere sul conflitto di attribuzione con l’obiettivo di stoppare il processo immediato sul caso Ruby e dintorni femminili. Come biglietto da visita non c’è male. Comunque, ancora una volta il Cavaliere impegnerà governo e maggioranza in un tour de force su provvedimenti che ritiene opportuni per ristabilire «la civiltà giuridica» in Italia. Eppure sono tanti e vari i motivi di dubbio dentro il suo stretto giro. Anche in via Arenula, al ministero della Giustizia. Intendiamoci, Angelino Alfano non dirà mai di no al capo che venera come un dio. Non si metterà di traverso se Berlusconi avrà la forza di andare fino in fondo con le riforme che non è mai riuscito a fare. «E perché dovrebbe riuscirci adesso?», dice un ministro che si tiene nell’anonimato. Lo stesso che dopo il Consiglio dei ministri di venerdì aveva condiviso con alcuni suoi colleghi un’impressione: il fedelissimo Alfano non vorrebbe mettere la faccia nel colpo di scure che sta preparando il Cavaliere. Al CdM dell’altro ieri il Guardasigilli ha ripetuto pari pari, senza passione, la relazione fatta un po’ di tempo fa in Parlamento. Un lungo elenco della spesa da tradurre in articolati di legge che dovranno attraversare le forche caudine delle Camere. E del Capo dello Stato, il che non è poco visti i rapporti burrascosi di questi ultimi tempi e peggiorati con le esternazioni esplosive di ieri. Dunque di strada ce n’è da fare. E Alfano vorrebbe scansarsi, non sporcarsi le mani, non bruciarsi, costruire il suo futuro di moderato quando Berlusconi passerà la mano, prima o poi, senza traumi e tradimenti, con la morbidezza di un ex democristiano siciliano, cresciuto con la rapidità sapiente di chi sa stare al suo posto, al posto giusto al momento giusto. Finora si è sobbarcato tutti i desiderata del Cavaliere, scrivendo e riscrivendo decreti e disegni di legge. Ha messo il suo nome sul Lodo fatto a fette, sul giro di vite alle intercettazioni, e ora controvoglia ci deve tornare sopra. Si è scontrato con l’Anm, si è immolato sull’altare della patria berlusconiana, cercando di mantenere l’aplomb del dialogante, duettando con gli avvocati della Real Casa d’Arcore. Ora però sembra stanco di questo ruolo bivalente di falco e colomba. Vorrebbe occuparsi a tempo pieno del partito, di quel Pdl presidiato ben bene da Verdini e soprattutto da La Russa. Lui, Alfano, continuerà a fare quello che il premier gli dirà di fare, senza fiatare, ma l’impressione di molti osservatori dentro il governo è che il machete non vorrebbe usarlo. Non vuole andare allo scontro, non tanto con i magistrati, ma con il resto del mondo politico. E innanzitutto con Napolitano. Non si sa mai: in futuro, quando arriverà l’ora della successione, potrebbe essere il suo turno e non quello di Tremonti o di Maroni. Per cui tornerebbe utile mostrare un profilo smussato, più politico e meno barricadero. Non bruciarsi di fronte alle eventualità politiche dentro e fuori il centrodestra. In fondo è quello che cercano di fare, tra mille problemi e diffidenze del Cavaliere, Tremonti e Maroni. Tutti e tre sanno che le elezioni non sono alle viste, che mettersi in posizione frontale come hanno fatto Fini e Casini significa avere vita grama. Poi qualcosa, anche di biologico, dovrà succedere. Alfano vuole farsi trovare pronto e le dichiarazioni di Berlusconi ieri non gli sono piaciute. Ma le sue responsabilità ministeriali sono particolari.