Alberto Mattioli, La Stampa 19/2/2011, 19 febbraio 2011
TRAGEDIA LIRICA DI CARNE E SOLDI
Un duetto fra la primadonna e il chirurgo plastico sulle dimensioni da scegliere per il seno nuovo di lei. Un’aria sulle Jimmy-Choo, le scarpe più ambite per fare sex in the city, un duetto sul Fried Chicken, il fast food del pollo fritto, una scena nel teleshow di Larry King, e poi droga, sesso, lap dance. L’opera è morta? Ma va là. Sarà morta in Italia, dove teatri, regie e repertorio sembrano coperti di uno strato di muffa. Poi basta fare un salto a Londra, alla «world première» di Anna Nicole per scoprire che un’opera contemporanea su un personaggio del passato prossimo fa il tutto esaurito.
E viene accolta dalla standing ovation del Covent Garden, in piedi ad acclamare il compositore Mark-Anthony Turnage e il librettista Richard Thomas. I quali salgono alla ribalta vestiti da fricchettoni, estraggono una minimacchina fotografica e si mettono a fare flash sugli spettatori.
L’Anna Nicole del titolo è Anna Nicole Smith. Ricordate? Riassumendo: nata in una sperduta località del Texas, dopo aver debuttato nella vita come cameriera in un fast food, si rifece il seno e si esibì prima in un locale di lap dance e poi sul paginone centrale di Playboy. Approdata alla categoria dei famosi per essere famosi, invece di finire sulla relativa isola fece il colpo grosso. Nel ‘94, a 27 anni, sposò il magnate del petrolio J. Howard Marshall II, che aveva 80 anni e svariati miliardi più di lei. La vedovanza iniziò l’anno seguente. Ma non riuscì a godersela: litigi con la famiglia del de cuius sull’eredità (tuttora discussa) e un abisso di droga, alcol e depressione. Per Anna Nicole, il colpo di grazia fu la morte del figlio Daniel (avuto da un matrimonio precedente, ancora nella fase del pollo fritto): la sua arrivò nel 2007 per colpa del solito cocktail di droga e farmaci. Aveva 39 anni. Lascia una figlia dalla paternità incerta, su cui ancora si litiga in tribunale.
Insomma, una vita che è una Traviata siliconata o una Carriera del libertino platinata, dunque un ottimo soggetto d’opera. E infatti ne è nata un’ottima opera. La partitura di Turnage è spiritosa, abile e «facile»: un onnipresente trio jazz che fa quasi da basso continuo, molte percussioni, oasi liriche di sicuro effetto benché non travolgenti e un tasso di «operaticità» che cresce man mano che dalla farsa si passa alla tragedia. Siamo ai confini del musical, ma funziona. E non è musica scritta per i soliti quattro gatti. Però è il libretto a essere eccezionale. Non solo perché ci sono più battute buone in queste due ore che in cinque giorni di Sanremo, ma soprattutto perché Thomas mette il dito nelle piaghe della nostra disgraziata contemporaneità: il voyeurismo dei media, l’arrivismo arraffone, il cinismo sfacciato. E, in mezzo, il corpo delle donne, coperto sempre troppo o troppo poco («In the East the burqa / in the West the thong», a Est il burqa, a Ovest il perizoma, riflette il libretto): e all’italiano di passaggio vengono subito in mente le attuali deplorevoli cronache nazionali.
Lo spettacolo del grande regista Richard Jones, che infatti da noi è ignorato, è semplicemente splendido: grande, grandissimo teatro con mezzi non faraonici, cambi di scena rapidi, recitazione fantastica di tutti e trovate geniali come la moltiplicazione dei mimi nerovestiti con la testa da telecamera che si moltiplicano e circondano e alla fine soffocano la sventata e sventurata Anna Nicole. Tony Pappano dirige benissimo i complessi della Royal Opera (eccellente il coro) e la compagnia è esemplare. A cominciare ovviamente dalla protagonista, il celebrato sopranone wagnerian-straussiano Eva-Maria Westbroek che ovviamente non ha nessun problema vocale e soprattutto riesce a essere credibile in tutte le metamorfosi del suo personaggio, prima fresca ragazzina di provincia, poi bonona da calendario e infine sfatta ex bellona dipendente dai farmaci. Ma bravissimi sono tutti: da Gerald Finley, l’avvocato-pusher-pappone terzo marito di lei a Susan Bickley, la mamma poliziotta che capisce subito che questa figlia andrà a finire male, fino ad Alan Oke che fa il miliardario con una tuta da ginnastica color oro e acuti da tenore leggero isterico.
E alla fine, quando il corpo ormai grottesco di Anna Nicole viene chiuso nel sacco nero come quelli di suo marito e di suo figlio, sopra una musica cullante semplicissima ma efficace, ci si sente stranamente commossi. Come sempre quando l’arte è lo specchio nel quale guardiamo noi stessi.