
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
C’è qualcosa che non torna nelle strategie della Lega. Il partito di Bossi si prepara a scendere sempre più a sud, per esempio c’è uno sforzo notevole a Roma e nel Lazio (con consiglieri e coordinatori che vengono a dar consigli fin da Treviso) per presentarsi alle prossime regionali e prendere, possibilmente, il 3%. Come si spiega allora la faccenda del tricolore italiano (nella foto Epa, il più grande mai srotolato), mandato metaforicamente in pensione, come già fece Bossi una decina d’anni fa, con la proposta di introdurre, addirittura per via costituzionale, le bandiere e gli inni regionali?
• Come si spiega?
Bossi è inviperito. Aveva già preso a urla l’idea della senatrice leghista di far fare l’esame di dialetto ai professori («Che cosa sono queste menate? Non mi devono rompere le balle! »), adesso si ritrova per le mani quest’altra uscita del senatore Bricolo, che è riuscito a farsi citare dai giornali tirando fuori l’idea di modificare l’articolo 12 della Costituzione e di introdurre le bandiere e gli inni regionali. Il risultato è questo: i quotidiani, per illustrare la proposta in un momento morto di notizie vere, hanno pubblicato queste famose bandiere regionali, delle robe graficamente imbarazzanti, s’è poi saputo che alcune bandiere vennero disegnate in tutta fretta quando il presidente Scalfaro, in occasione del 4 novembre 1995, stabilì che era venuto il momento di esporre in una sala del Quirinale i vessilli delle venti regioni. Non so se la sala con i vessilli esiste ancora. Se c’è, dev’essere catalogata tra i musei degli orrori. Per non parlare poi degli eventuali inni regionali. Ieri sono state rispolverate la bella gigogin e la bela madunina e ’o sole mio e calabrisella . Mamma mia. Politicamente poi la cosa equivale a una barzelletta. Per modificare la Costituzione ci vogliono i voti dell’opposizione. Ma se un pastrocchio simile non lo voterebbe neanche la maggioranza! Zero assoluto, non varrebbe neanche la pena di parlarne.
• E allora perché ne parliamo?
Intanto per fare un po’ di storia patria. E poi perché a guardar bene non si potrebbe trovare un simbolo più padano del bianco, rosso e verde.
• Lo inventarono al Nord?
La storia è questa: nel 1796 Napoleone, che aveva già occupato Milano e Mantova, si prese Modena, Reggio Emilia, Bologna e Ferrara. Fece tenere un congresso a Reggio Emilia e qui – era il 7 gennaio 1797 – si decise per la nascita della Repubblica Cispadana e l’adozione del tricolore. Era un’imitazione della bandiera della Rivoluzione francese, col verde al posto dell’azzurro. Le strisce erano orizzontali. Forse la Cispadania non è abbastanza padana per Bricolo (in fondo siamo in Emilia, dove la Lega si è affacciata, con un bel successo, solo di recente). Ma la storia vera dei colori del nostro vessillo rischia di far fare a questo parlamentare leghista una figura ancora più barbina di quella che ha fatto.
• Perché?
Si dice in genere che il verde – il colore che ci distingue dai francesi – simboleggerebbe la natura e i diritti di uguaglianza e di libertà. Così prescrivono i codici massonici. Ma Philippe Daverio, quando era assessore a Milano (assessore alla Cultura e leghista), scoprì che il tricolore italiano non era nato a Reggio Emilia, come normalmente si crede e si legge, ma proprio a Milano: Napoleone consegnò alla Legione Lombarda, perché la adottasse nella prossima battaglia contro gli austriaci (novembre 1796), il vessillo bianco rosso e verde. Lo portavano i Cacciatori a Cavallo. Questo eroico drappo, sbiadito come si conviene, esiste ed è conservato nel Museo milanese di Storia del Risorgimento. Se ne conosce anche la storia: caduto in mano agli austriaci (alcuni di questi drappi stanno infatti nell’arsenale militare di Vienna), venne trovato per caso a Parigi nel 1927 dal conte Borletti che lo acquistò e regalò a Mussolini nel ”35. Nel ”37 Mussolini lo regalò al Museo del Risorgimento, in occasione di una cerimonia per rievocare le Cinque giornate.
• Beh, non sposta di molto…
Aspetti. Il verde dei Cacciatori a Cavallo ha una motivazione completamente diversa dal verde massonico. L’ha spiegata lo storico Giorgio Rumi, confermando la primogenitura milanese: «Il verde era il tradizionale colore della divisa della milizia urbana che durante l’antico regime, sia sotto gli spagnoli sia sotto gli austriaci, affiancava le truppe regolari». Capisce? Le ronde! Migliaia di milanesi reclutati nelle parrocchie e comandate dai patrizi! Fecero ala a Napoleone quando il Generale entrò in città (15 maggio 1796) e Napoleone li ricompensò mettendo il colore delle ronde, cioè della milizia – il verde, proprio il verde – a completare il tricolore della prima repubblica italiana. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 7/8/2009]
(leggi)