Bruno Ruffilli, La stampa 7/8/2009, 7 agosto 2009
DA ROMANTICI A CRIMINALI UNA SFIDA LUNGA 30 ANNI
Negli Anni ”80 fu «Wargames», il film con Matthew Broderick a portare all’attenzione del grande pubblico la figura dell’hacker. In realtà, il piccolo David è un precoce esperto di computer, quello che oggi forse verrebbe chiamato un nerd, e riesce a violare il supercomputer del Pentagono più per gioco che per calcolo. Poi la storia si fa complicata e quando il pericolo di una guerra nucleare diventa concreto, il ragazzino s’ingegna per entrare di nuovo nel cervellone federale, ci riesce e diventa l’eroe di una generazione di smanettoni.
Venti o trent’anni fa, infatti, gli hacker erano curiosi appassionati di computer che attaccavano qualunque sistema informatico e telefonico, per il piacere di sfidare le nascenti multinazionali: oggi sono diventati quasi tutti esperti di sicurezza o consulenti aziendali. E se le gesta di Kevin Poulsen sono leggendarie tra gli addetti ai lavori, il più famoso rimane Steve Wozniak, che nel 1976 fonda la Apple Computer assieme a Steve Jobs (allora usava apparecchi che producevano segnali sonori per ingannare i telefoni AT&T e non pagare le chiamate interurbane). A spingerli non è certo l’idea di risparmiare qualche dollaro: i primi paladini del bit sono mossi da un intento politico e pacifista, infatti il regista John Badham per la parte del professor Falken aveva pensato a John Lennon.
Nel decennio successivo essere hacker diventa di moda, anche perché è segno di una familiarità con l’informatica che la generazione precedente non aveva. Mentre i trenta-quarantenni arrancano dietro tastiere e mouse, i più bravi tra i giovani scavano alla ricerca dei segreti nascosti tra le i codici dei pc. E inventano i primi virus, per il gusto di far crollare la fiducia nelle macchine e nelle sorti magnifiche e progressive che promettono.
Poi si diffonde Internet e gli hacker cominciano a raggrupparsi in bande: le più note sono i Masters Of Deception e i Legion Of Doom, si scontrano facendo a gara a chi riesce a entrare nei computer degli avversari. Sono anche gli anni in cui cresce la fama di Kevin Mitnick, l’americano che riesce a violare i sistemi di sicurezza informatica di Nokia, Fujitsu, Motorola e Sun Microsystems. Definisce la sua attività «ingegneria sociale» ma questo non basta a salvarlo dalla condanna a 5 anni di carcere, quando viene arrestato nel 1995. Nello stesso anno il russo Vladimir Levin è il primo a entrare nei computer della Citibank, sottrae 10 milioni di dollari. Aziende e governi corrono ai ripari, ma per ogni lucchetto gli hacker trovano una chiave: nel 1998 uno s’infila nel «Defense Information System Network» del Pentagono, che controlla i satelliti militari Usa.
Col terzo millennio ad affermarsi è il cybercrime vero e proprio, fatto di ricatti, minacce, furti d’identità e distruzioni di dati sensibili. E in un mondo sempre più virtuale, anche gli attacchi terroristici spesso passano per i pc: il pericolo è Al-Qaeda, che ha minacciato più volte di mettere fuori uso i centri vitali degli Usa. Ma bisogna tener d’occhio anche India, Russia, Cina, come ha compreso Obama che ha istituito una task force per fronteggiare gli attacchi informatici. Al confronto appare perfino nostalgica l’impresa di Gary McKinnon, un distinto quarantenne che nel 2002 aveva bucato le difese informatiche della Nasa, del Pentagono, dell’Esercito, della Marina e delle Forze aeree statunitensi per cercare prove dell’esistenza degli extraterrestri.