Francesca Paci, La stampa 7/8/2009, 7 agosto 2009
SVOLTA MURDOCH, FINE DI INTERNET GRATIS
Tre mesi fa aveva lanciato la provocazione, tanto per vedere come avrebbero reagito i concorrenti all’ipotesi che il re dei media sfidasse il web sul più aperto dei campi, l’accesso gratuito alle informazioni. Ora, di fronte ai bilanci in rosso della sua News Corporation, Rupert Murdoch mostra i muscoli. «Il giornalismo di qualità non può essere a buon mercato» ha dichiarato mercoledì ai soci riuniti per discutere i 3,4 miliardi di dollari (2,3 miliardi di euro) bruciati nell’ultimo anno. Significa una massiccia cura ricostituente a spese dei navigatori: a partire da giugno 2010 bisognerà pagare una quota per consultare The Times, The Sun, News of the World e gli altri siti giornalistici del gruppo australiano.
Le analisi di marketing consigliano cautela, il pubblico della rete ignora il concetto di scambio monetario. Ma il settantottenne magnate delle comunicazioni sembra deciso: «Possiamo ottenere guadagni notevoli dalla vendita di contenuti. Quando pubblichiamo uno scoop su qualche celebrità, per esempio, il numero di contatti è astronomico». Un team di specialisti che comprende suo figlio James e l’amministratore delegato di Down Jones Les Hinton sarebbe già a lavoro per definire la strategia capace di arginare le perdite senza cedere lettori agli irriducibili del gratuito.
Stretto tra il collasso della pubblicità e l’epilogo della carta stampata, Murdoch morde il freno. Finora solo il Wall Street Journal aveva introdotto il pagamento delle notizie online, sondando le possibilità digitali dell’impero mediatico esteso da Sydney a Londra. Il futuro è oggi. «Penso a quest’anno fiscale» ha detto il patron di News Corporation a chi domandava il calendario della rivoluzione. I suoi giornali britannici, un tempo campioni d’incasso, registrano un calo della pubblicità del 14%. Neppure il 4% extra di Fox News compensa la débâcle dei quotidiani passati da 786 milioni di dollari d’incasso (547 milioni di euro) a 466.
Tramonta la belle epoque d’internet, quando bastava un clic per avere il mondo sulla scrivania? «Credo che i giornali online resteranno gratuiti, ad eccezione di certa informazione finanziaria o specialistica per cui esiste una solida domanda» osserva Valerio Zingarelli, amministratore delegato di Babelgum, tv indipendente e gratuita presente su internet smartphones. La qualità costa eccome, ma a occuparsene non può essere il lettore: «La sfida è riuscire a vendere pubblicità online. Ci sono segnali positivi: internet ha un numero di utenti dieci volte maggiore della carta stampata. Si può misurare con precisione il ritorno dell’investimento pubblicitario, è questione di tempo».
Murdoch scommette che lungi dall’essere vittima del cambiamento sarà lui a determinarne la rotta. E accetta il rischio: «I nostri contenuti saranno migliori e diversi di quelli dei siti non a pagamento. Se avremo successo saremo seguiti presto da altri media». Senza grande entusiasmo anche il New York Times e l’Independent pensano a una quota per l’accesso alle news.
«E’ difficile prevedere cosa accadrà, Murdoch è un attore importante del mercato e sebbene abituata a non pagare la gente potrebbe accettare un prezzo contenuto per un servizio di cui si fida» ragiona Iain Dale, uno dei più popolari blogger britannici, seguito ogni mese da 130 mila fedelissimi. Secondo Zingarelli la sfida del tycoon australiano non è con il Guardian ma con il web, che offre molte informazioni di qualità buona o accettabile: «Dal punto di vista di Murdoch è giusto fare un tentativo, ma il suo piano è sostenibile solo se gli altri grandi gruppi editoriali gli vanno dietro. Quandanche tutti i giornali si accordassero ci sarà sempre un sito pronto a offrire notizie free». O ad approfittare di quelle altrui. Tecnicamente il Wall Street Journal è blindato, scrive Derek Thompson nel suo blog su The Atlantic. Eppure: «Basta copiare il titolo dell’articolo desiderato su Google per trovarlo senza filtri». Qualcuno prima o poi si districherà dalla rete.