Domenico Quirico, La stampa 7/8/2009, 7 agosto 2009
IL BUEN RETIRO DOVE TITO INCANTAVA DONNE E LEADER
L’ultima volta che la Storia ha fatto tappa a Brioni, prima di lasciar il posto ai turisti e agli speculatori, era il luglio del 1991. Ma era ormai storia con la minuscola, di liquidazioni, rancori, fratricidi. Il presidente federale Mesic convocò un disperato vertice tra i popoli della Jugoslavia che si sfaceva torbidamente. Avevano già le armi in pugno serbi croati e sloveni: chissà, a Mesic venne l’idea che convocarli qui dove, ai bei tempi, era passata la politica del mondo e la Jugoslavia era stata Grande, potesse riaccendere solidarietà perdute. Sarebbe stato l’ultimo miracolo del padrone di casa, Tito, il patriarca di Brioni. I serbi, ahimè, non si fecero vedere, avevano già i loro piano barbarici, il croato Tudjiman e gli altri andarono a giocare a tennis o fecero i turisti su automobiline elettriche. La magia non funzionava più, il luogo non bastava, mancava l’incantatore.
Era stata ben altra Storia quella iniziata nel 1947: la prima volta in cui Tito prese la barca a Fazana e sbarcò sull’isola. Come se la bufera della guerra con i suoi frenetici massacri non fosse esistita: ogni insenatura, ogni villa era intatta di ricordi austro ungarici, di vacanze spensierate ai tempi in cui i popoli ancora volgevano lo sguardo al benevolo vecchio imperatore. Aveva soggiornato qui Thomas Mann e, osservando la borghesia europea che giocava a golf, ne spiò il fastoso tramonto. Nella chiesetta di san Rocco si erano sposati Sofia e Francesco Ferdinando, le revolverate che li uccisero a Sarajevo avevano spezzato quel magnifico fragile mondo. C’erano le tracce e la bellezza degli imperi nell’isola incantata. Josip Broz, ex operaio di Kumroves passato vittorioso attraverso il fuoco della Rivoluzione, poteva sentirsi padrone ed erede legittimo. Subito la volle tutta per sé. La modellò a sua immagine, simbolo del potere che ben sapeva nutrire i rissosi slavi del Sud di pan di crusca e di promesse. Vi tesseva i nodi di una diplomazia ambiziosa e ne riceveva gli encomi, vi battezzò il Movimento dei non allineati, con Nasser e Nehru. A Brioni per la prima volta il terzo mondo scoprì che poteva impensierire i Grandi. Di quelle illusioni rapidamente tramontate restarono cammelli ed elefanti che, smarriti, pascolavano nella macchia dell’isola a fianco di cervi e daini. Erano i doni dei leader dei paesi esotici, lo zoo privato del patriarca.
A Brioni Tito, l’eroe rivoluzionario e socialista, si svelava: nella sua natura di gaudente, nelle sue passioni di borghesissima libidine. Questo era il palcoscenico ben nascosto dove collezionava attrici e uncinava belle donne, dalla Loren alla Taylor a Gina Lollobrigida. Che si fece fotografare avvinghiata all’autocrate-cascamorto che guidava la Lambretta per le stradine dell’isola, la mano sinistra, ferita da un macchinario quando era operaio, coperta dall’immancabile guanto. Ma il sensuale padrone di casa non dimenticava mai che il potere è spietato. Goli Otok, un’altra isola, l’isola lager, non era lontana.
A Brioni trovò il coraggio di dire no alla scomunica e agli adescamenti di Stalin. E fu qui che nel 1956 si prese la rivincita degli anni in cui era stato il lebbroso del comunismo. L’uomo che aveva seppellito nel ventesimo congresso Stalin e i suoi «errori», Nikita Krusciov, voleva riportare il figliol prodigo nel campo socialista. Tito lo invitò a Brioni. Nulla sembrava unire questi due «comunisti». Il russo con le maniche della giacca che arrivavano a metà delle dita, le gambe in due tubi di stoffa che calavano a terra senza piega e si slargavano progressivamente fino ad avviluppare i piedi, la faccia di bimbo invecchiato: in Krusciov tutto parlava di esistenze malinconiche e solitarie, trascorse in squallide camere ammobiliate, tormentate dal pungolo della carriera bolscevica, dal terrore delle «purghe», senza donne o con donne dedite solo alla Causa. Il dittatore jugoslavo, invece: con la divisa bianca da ammiraglio di gran taglio, o in smoking, che dimostrava come nella sua vita il marxismo leninismo poteva ben restare fuori dalla porta. I vestiti, la villa parlavano da soli un linguaggio più eloquente di un programma di partito o di un trattato dottrinario.
Aveva caricato, per una gita sull’isola, l’ingombrante ospite come amava fare con le maliarde: sulla Cadillac Eldorado modello 1953. Si diceva fosse un dono di Eisenhower, forse era leggenda. Ma immaginiamo il sorriso malizioso del Maresciallo nell’osservare il padrone della metà comunista del mondo sdraiato su quei morbidi sedili capitalisti. Allora Krusciov saettò: «Che ne fareste voi di un soldato di un distaccamento che rifiuta ostinatamente di marciare al passo?». Il Maresciallo fece scivolare pigramente lo sguardo sulle anse morbide della sua isola, e rispose: «Io cambierei la musica…».