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 2009  agosto 07 Venerdì calendario

«PERSI TUTTO A LAS VEGAS E RICOMINCIAI AL SISTINA»


Alle 7 del mattino lascio Las Ve­gas con un dollaro in tasca. Gli ultimi 100 li ho persi al tavolo del Black Jack del Caesars Palace. Non posso permettermi una camera. Per cena qualche patatina rubata al banco­ne del bar. Bevo ai rubinetti del ba­gno. Ma ho 20 anni e sento che la mia vita, dopo questa estate americana, sa­rà diversa, lo è già. Non sono più il ragazzino di Villongo, provincia di Bergamo, che se ne stava ore sotto il salice, in sella alla vespa argentata, a pensare che il mondo mica può esse­re tutto qui». Era il 2 settembre del 1987, Alessio Boni sale sul volo di ri­torno via New York «e menomale che il biglietto l’avevo pagato in anticipo. Con la fame arretrata mi sembrava buono pure il pollo gelido del vasso­ietto che fa sempre schifo».

Sei mesi indietro c’era Boni Ales­sio, poliziotto: «Terzo reparto celere di viale Zara, Milano. Prima facevo il piastrellista a Bergamo, come papà Ignazio, mio fratello, mio zio e mio cu­gino. Dai 14 ai 18, sveglia alle 6 e 30, mattonelle, panino a pranzo, matto­nelle, doccia, dalle 18 alle 23 corso se­rale di ragioneria, diploma con un risi­cato 40 su 60. Basta. Faccio domanda per entrare nei Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia e Parà, negli alpini no, perché non pagano. Mi chiamano in Ps. Manganello, scudo, servizi d’or­dine allo stadio, che scemo, sognavo di essere Serpico. Imparo a sparare con la 92 Parabellum, buona mira. Brevetto di salvataggio, guida veloce. Primo al corso su 1200, mi premia il prefetto di Milano».

Ma non è cosa per lui. «Un anno e mezzo e non ne posso più. Decido di getto: pianto tutto e vado in America. Avevo da parte 12 milioni di lire». Do­veva essere un viaggio studio di 3 me­si ad imparare l’inglese. «Sono partito col mio amico Roberto e il mito della California. Prima tappa New York, poi Miami e infine San Diego». Il ben­venuto in aeroporto. «Doveva venirci a prendere Tomiko, la signora giappo­nese che ci avrebbe ospitato. Io guar­davo intensamente ogni donna che ar­rivava per capire se era lei. Forse qual­cuna si è infastidita. Perché ad un trat­to mi sento afferrare per le spalle. Due energumeni mi portano in una stanza e cominciano ad interrogarmi. Grida­no e io non capisco niente. So dire sol­tanto: «I am Alessio» e «I am from Italy». Posso fare una telefonata, se vo­glio, come nei telefilm. Mi hanno pre­so per un maniaco». Molti minuti e molte spiegazioni dopo, Alessio è rila­sciato «come il solito pappagallo ita­liano» .

Cinque ore di lezione al giorno pro­ducono qualche miglioramento. L’in­glese fa altri progressi dopo l’incon­tro con Mindee. «Una bellissima mo­della americana, padre indiano e ma­dre tedesca». Alessio lascia Roberto e la pensione di Mrs Tomiko. «Dura tre mesi. Mi scarica una mattina qualsia­si. Sorry, mi sono messa con un denti­sta». Senza casa, pochi soldi, da solo, perché Roberto era tornato in Italia. «Per campare faccio il cameriere in un ristorante italiano a La Jolla, il ra­gazzo che consegna porta a porta i giornali legati con l’elastico e anche il babysitter a due bambini pestiferi. Ma non basta».

Ed eccolo quella mattina, in parten­za da Las Vegas, più squattrinato che mai: «Il dollaro me l’ero tenuto per ri­cordo ». Ritorno a Villongo. «Passo un mese chiuso in casa. Papà è arrabbia­to perché non voglio più saperne di piastrelle». L’America è un orizzonte che non si restringe. «Ricominciai nei Villaggi Valtur. Face­vamo degli spettaco­lini tremendi, però le prove mi piaceva­no. Lamberto, il ca­po animatore, mi consigliò il centro sperimentale di Ci­nematografia, non sapevo nemmeno cosa fosse. Al provino c’erano Comen­cini, Bolognini e la Masina. Dissi: «Buongiorno». «Sei di Bergamo o di Brescia?», mi scoprì subito Comenci­ni. Portavo un dialogo, non avevo la spalla, feci lui e lei che litigavano su una panchina. Arrivai undicesimo, ne prendevano dieci». Buona la prossi­ma. «Una sera del 1988 degli amici mi trascinano al Sistina di Roma per La gatta Cenerentola di De Simone. Pen­savo fosse una noia, tre ore seduto. Lì mi sono innamorato del teatro: caspi­ta, è questo che voglio fare».

Alessio studia con Alessandro Fer­sen. I soldi scarseggiano come al soli­to.
Di giorno insegna in palestra, di se­ra fa il cameriere al Puff di Lando Fiori­ni, «per me come un secondo padre». Divide una stanza con altri 4 ragazzi: «Un ballerino, un cantante, un attore e uno studente, io declamavo i classici con la matita in bocca per correggere la dizione bergamasca. Ahò, la smet­ti?». Ha 22 anni. Altro provino all’Acca­demia d’Arte Drammatica. «Se mi prendono bene, sennò rinuncio». Pre­so. Lezioni con Orazio Costa. Valeria Moriconi, finalmente Strehler. In tv ci arriva nel 1999 con La donna del treno di Lizzani. Qualche fotoromanzo. Poi Incantesimo , Alessio è un sex symbol. «Mi offrono un calendario, rifiuto, era­no un sacco di soldi». Lascia perdere Elisa di Rivombrosa. Premia­to: nel 2003 La meglio gioventù e Cannes. Il ragazzo che odiava le mattonelle si tormenta per fiction e per amore in Rebecca , Cime tempesto­se («Lì più che altro mi tormentava il freddo, si girava tra Germania e Polo­nia, all’alba, a gennaio»), Guerra e Pa­ce, Caravaggio e Puccini. Ora final­mente farà ridere. Sta qui a Nepi, vici­no Viterbo, che gira Tutti pazzi per amore 2 di Riccardo Milani, scritto da Ivan Cotroneo. «Sono Adriano, ornito­logo svagato che parla solo di cincialle­gre e passeri solitari e che scende in città per il matrimonio del fratello Ne­ri Marcorè». Occhiali bianchi, cofana di ricci, bruttino che è quasi un sacrile­gio. In un cassetto tiene ancora quel dollaro stropicciato.