Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  agosto 07 Venerdì calendario

SFIDA AL NABUCCO DELL’UE. COSI’ MOSCA AGGIRA L’UCRAINA


Se il Nabucco de­ve il suo nome all’opera di Giu­seppe Verdi che i firmatari dei Paesi coinvolti si sarebbero gu­stati a Vienna la sera del primo accordo (ed evoca in qualche modo la «liberazione» dell’Eu­ropa dal gas russo) il South Stream non vanta origini altret­tanto artistiche. Nato due anni fa a Mosca con l’appoggio del­l’Eni, partner storico di Gaz­prom, incarna la risposta del Cremlino ad almeno un paio di problemi strategici: aggirare la riottosa Ucraina e impedire che l’Unione Europea diversifi­chi le sue fonti di approvvigio­namento di gas, che arrivano soprattutto dalla Siberia, dal Sahara e, ma non per molto tempo ancora, dal Mare del Nord in esaurimento.

Con l’accordo di ieri, l’enne­simo botta e risposta con il ri­vale europeo, il premier russo Putin ha però rilanciato anco­ra. Si è assicurato l’appoggio di Erdogan al suo progetto con l’Eni in cambio delle preziose forniture russe di gas alla Tur­chia. In più ha messo le mani in pasta anche nel prezioso ole­odotto che dal Mar Nero (Sam­sun) arriva al Mediterraneo (Ceyhan), un trampolino ver­so i Paesi della costa orientale del Mediterraneo.

Dalle parole, però, bisogne­rà passare ai fatti, e su questi si misureranno le intenzioni dei leader. I programmi sono fara­onici: il Nabucco partirebbe con 8 miliardi di metri cubi di gas l’anno per arrivare a 30 mi­liardi. Il South Stream dai 31 miliardi prospettati un paio d’anni fa dovrebbe addirittura convogliare 63 miliardi di me­tri cubi l’anno verso occidente, secondo quanto previsto dagli accordi di Soci dello scorso maggio. Il tutto dà le dimensio­ni del business che si profila, che si proietta al 2015 e proba­bilmente oltre, e delle difficol­tà da superare.

Un paio di questioni in parti­colare. Da dove dovrà venire tutto quel gas? E come si trove­ranno tutti gli investimenti ne­cessari? Il Nabucco turco-bul­garo- romeno- ungherese- au­stro- tedesco (che gode dell’ap­poggio «politico» degli Usa), il gas semplicemente non lo pos­siede. Lo sta cercando in Azer­baigian e schiaccia l’occhio al­­l’Iraq, ma non ha firmato alcun contratto di fornitura. Il South Stream avrebbe il gas russo. Ma per arrivare a quota 63 mi­liardi neanche quello sarebbe sufficiente, e infatti Gazprom si muove da tempo per chiama­re a raccolta gli ex satelliti ka­zaki e turkmeni. In più, un’ope­ra «difficile» come il South Stream che deve passare sul fondo del Mar Nero (e l’Eni lo sa bene visto che ha già costrui­to il Blue Stream nelle stesse ac­que) avrà un costo ben supe­riore ai 20 miliardi di euro. Non pochi per l’Eni, figurarsi per una Gazprom già fortemen­te indebitata.