Stefano Agnoli, Corriere della Sera 07/08/2009, 7 agosto 2009
SFIDA AL NABUCCO DELL’UE. COSI’ MOSCA AGGIRA L’UCRAINA
Se il Nabucco deve il suo nome all’opera di Giuseppe Verdi che i firmatari dei Paesi coinvolti si sarebbero gustati a Vienna la sera del primo accordo (ed evoca in qualche modo la «liberazione» dell’Europa dal gas russo) il South Stream non vanta origini altrettanto artistiche. Nato due anni fa a Mosca con l’appoggio dell’Eni, partner storico di Gazprom, incarna la risposta del Cremlino ad almeno un paio di problemi strategici: aggirare la riottosa Ucraina e impedire che l’Unione Europea diversifichi le sue fonti di approvvigionamento di gas, che arrivano soprattutto dalla Siberia, dal Sahara e, ma non per molto tempo ancora, dal Mare del Nord in esaurimento.
Con l’accordo di ieri, l’ennesimo botta e risposta con il rivale europeo, il premier russo Putin ha però rilanciato ancora. Si è assicurato l’appoggio di Erdogan al suo progetto con l’Eni in cambio delle preziose forniture russe di gas alla Turchia. In più ha messo le mani in pasta anche nel prezioso oleodotto che dal Mar Nero (Samsun) arriva al Mediterraneo (Ceyhan), un trampolino verso i Paesi della costa orientale del Mediterraneo.
Dalle parole, però, bisognerà passare ai fatti, e su questi si misureranno le intenzioni dei leader. I programmi sono faraonici: il Nabucco partirebbe con 8 miliardi di metri cubi di gas l’anno per arrivare a 30 miliardi. Il South Stream dai 31 miliardi prospettati un paio d’anni fa dovrebbe addirittura convogliare 63 miliardi di metri cubi l’anno verso occidente, secondo quanto previsto dagli accordi di Soci dello scorso maggio. Il tutto dà le dimensioni del business che si profila, che si proietta al 2015 e probabilmente oltre, e delle difficoltà da superare.
Un paio di questioni in particolare. Da dove dovrà venire tutto quel gas? E come si troveranno tutti gli investimenti necessari? Il Nabucco turco-bulgaro- romeno- ungherese- austro- tedesco (che gode dell’appoggio «politico» degli Usa), il gas semplicemente non lo possiede. Lo sta cercando in Azerbaigian e schiaccia l’occhio all’Iraq, ma non ha firmato alcun contratto di fornitura. Il South Stream avrebbe il gas russo. Ma per arrivare a quota 63 miliardi neanche quello sarebbe sufficiente, e infatti Gazprom si muove da tempo per chiamare a raccolta gli ex satelliti kazaki e turkmeni. In più, un’opera «difficile» come il South Stream che deve passare sul fondo del Mar Nero (e l’Eni lo sa bene visto che ha già costruito il Blue Stream nelle stesse acque) avrà un costo ben superiore ai 20 miliardi di euro. Non pochi per l’Eni, figurarsi per una Gazprom già fortemente indebitata.