
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Quanti compromessi si sono dovuti fare al G20 per tener buono Trump?
La stretta di mano tra Vladimir Putin e Donald Trump domina ancora oggi il G20 di Amburgo, più delle scorribande dei black-bloc e dei compromessi raggiunti ieri. Proprio a mezzogiorno di ieri, infatti, in seguito a quella stretta di mano, i combattimenti sono cessati nella Siria sud-occidentale.
• Facciamo così: prima parliamo di quello che è successo ieri, poi parliamo di quello che è successo l’altro ieri.
Ieri c’era il problema di stilare tutta una serie di documenti, evitando per quanto possibile che Trump uscisse completamente isolato dagli altri 19. La Merkel è troppo politica, e troppo democristiana, per voler isolare qualcuno. Isolare qualcuno comporta il rischio di non poterci più parlare, con questo qualcuno. E qui si tratta del presidente degli Stati Uniti.
• Quindi?
Forse il punto di contrasto più grosso riguardava l’accordo sul clima, che Trump giudica una baggianata. S’è trovato, all’ultimo, un compromesso concepito così. Gli altri giudicano l’accordo sul clima «irreversibile», Trump è stato accontentato con l’inserimento di un concetto relativo ai combustibili fossili. Gli americani «si impegneranno a lavorare a stretto contatto con altri Paesi per aiutarli ad accedere e utilizzare i combustibili fossili in modo più pulito ed efficiente». Una frasetta che dice poco o niente. I combustibili fossili sono i principali responsabili - secondo la vulgata dei catastrofisti dell’IPCC - del riscaldamento globale. D’altra parte Trump ha promesso ai minatori del Wyoming e dei Monti Appalachi di recuperare i posti di lavoro perduti per la concorrenza del gas e dello shale oil: la produzione di carbone americana, tra il 2007 e il 2015, è passata da 1.170 milioni di tonnellate a 900 milioni, con una perdita di 20 mila addetti. È abbastanza difficile recuperare il settore, che oltre a essere inquinante ha costi di avviamento superiori a quelli di una centrale a gas. Ma è su questioni come queste che Trump ha vinto le elezioni. La frasetta suggerita per mettere tutti d’accordo va più che bene. Putin ha definito l’intesa «ottimale». Si sottolinea in ogni caso un fatto nuovo: uno dei membri del G20 è autorizzato a seguire una politica difforme da quella degli altri 19 partner.
• Poi?
La faccenda del «libero commercio». Gli europei e gli altri membri del G20 sono in genere per globalizzazione e libero scambio, vale a dire sono convinti che il mondo, e loro stessi, hanno tutto da guadagnare da merci che girino liberamente per il pianeta. Trump non la pensa affatto così, e siccome non è stato eletto presidente del mondo, ma degli Stati Uniti, ha già detto molte volte che lui metterà dazi per proteggere l’industria americana. Anche qui: si tratta di non deludere coloro che lo hanno preferito a Hillary Clinton. I 20 se la sono cavata così: i paesi membri del G20 esaltano, nel comunicato, il commercio aperto come motore della crescita, della produttività, dell’innovazione e della creazione di posti di lavoro. Ma ammettono che è anche legittimo elaborare «strumenti di difesa nazionale». Merkel s’è dichiarata soddisfatta, l’aria di Trump è che di queste gabole se ne frega. Il concetto della «difesa nazionale» o difesa dei confini è apparso anche nel documento relativo ai migranti. Dove si legge: «Sottolineiamo il diritto sovrano degli Stati di gestire e controllare i loro confini e stabilire politiche nell’interesse della sicurezza nazionale». E però si dovranno anche mettere in campo «sforzi globali e azioni coordinate». In salsa trumpiana sarebbe il problema dei messicani e del relativo muro. Il nostro premier Gentiloni ha definito questa posizione «realistica». C’è però un punto: si è deciso di rinunciare a qualunque sanzione nei confronti dei trafficanti di uomini.
• Come sarebbe?
Gli europei le avevano chieste, Russia e Cina si sono opposte. L’Osservatore Romano: «Una grande occasione persa, un aspetto di centrale importanza in relazione all’emergenza immigrazione». Gentiloni, visto il compromesso raggiunto, ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco, definendolo «ragionevole». «Non mi aspetto conversioni improvvise» da parte di vicini e alleati ma «l’attenzione di tutti sul fatto che l’Italia sta facendo uno sforzo importantissimo, che rivendico a testa alta sul terreno del salvataggio e dell’accoglienza. Contemporaneamente i nostri vicini sanno che questo sforzo non può essere illimitato e fatto solo da noi».
• Veniamo alla Siria.
La Siria è il risultato più importante di un incontro - l’altro ieri - che doveva durare 35 minuti ed è andato avanti per mezz’ora. Un’intesa analoga, stretta tra Obama e Putin, durò lo spazio di una mattina. La simpatia reciproca tra Putin e Trump potrebbe servire almeno a metter fine a quel massacro. Si parla di altre zone che laggiù, grazie ai due maschi alfa, potrebbero ritrovare un minimo di tregua. Il destino di Assad, alla fine, è irrilevante: da quelle parti, di fatto, comanda ormai Putin. Che ha negato ogni interferenza dei suoi hacker nell’elezione dello scorso novembre. Trump ha l’aria di credergli o, anche qui, di fregarsene.
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