la Repubblica, 9 luglio 2017
Asterix, viaggio in Italia. Intervista a Jean-Yves Ferri
C’è un motivo per cui il prossimo episodio delle avventure di Asterix sarà molto importante per noi: si intitolerà Asterix e la corsa d’Italia. E non si svolgerà solo a Roma, il cuore dell’Impero, la città di Giulio Cesare che è già stata mostrata in altre occasioni, ma dalla Transpadania al Bruttium. Siamo nel 50 a.C. e l’Italia è sotto il dominio di Roma. Ma, con un certo dispiacere di Obelix che da sempre adora prendere i romani a sberle, i due galli si renderanno conto che non è proprio possibile assimilare tutti gli Italici a Roma, anzi! «Arrivati al trentasettesimo albo abbiamo deciso che era venuto il momento di raccontare che cosa era veramente l’Italia», spiega lo sceneggiatore Jean-Yves Ferri che, con il disegnatore Didier Conrad ha ricostituito la coppia che fu dei grandi Goscinny e Uderzo, con la benedizione delle stesso Uderzo che lo scorso aprile ha compiuto novant’anni. «Finalmente si gode il meritato riposo, anche perché giunti al terzo episodio, ormai si fida di noi».
Come siete stati scelti da Uderzo agli inizi?
«Tutto è cominciato quando Hachette ha segretamente contattato una decina di autori chiedendo di presentare un abbozzo di storia: il nostro è stato quello che lo ha convinto di più. Nel mio caso forse perché io ero già un autore di fumetti umoristici».
Uderzo controlla tutti i disegni che vengono realizzati?
«Quando abbiamo fatto il primo albo, Asterix e i Pitti, naturalmente ci ha dato molti consigli ma questa volta invece non è intervenuto per niente salvo che per l’incoraggiamento: ha letto la storia all’inizio e poi man mano guardava le tavole ma non ha mai chiesto un rifacimento. Era sempre molto soddisfatto dei disegni ed era felice che la storia fosse ambientata in Italia perché è il suo paese d’origine».
Quindi la scelta dell’Italia non è stata sua?
«No, è stata una scelta mia. Tutti i lettori di Asterix conoscono Roma ma non il resto dell’Italia. Stranamente questo tema non era mai stato trattato nelle storie precedenti mentre succedeva per molti altri Paesi come la Spagna, il Belgio e ovviamente la Francia».
Lei conosce bene l’Italia?
«Abbastanza, ma il problema è che bisognava raccontare l’Italia dell’anno 50 a.C., un lavoro più difficile di quello che può sembrare perché Asterix non è un trattato di storia ma non si può nemmeno prescindere dai riferimenti precisi a cui i lettori sono abituati».
Goscinny e Uderzo si documentavano molto. Questa storia sarà un po’ come “Asterix e il giro di Gallia”?
«Non proprio: quello era una sfida, una scommessa tra Galli e Romani che avrebbero sorpassato lo sbarramento romano. In questo caso invece sarà completamente diverso, non ci sarà una sfida».
Sarà un viaggio da Nord a Sud?
«Sì perché, venendo dalla Francia, è la strada più naturale. Mi sono documentato sulle vie dell’epoca ed erano già molto servite».
Una cosa molto complicata in Asterix sono i famosi calembour. Avremo delle cose simili anche in questa avventura?
«Sono imprescindibili: in Francia sono considerati un vero e proprio patrimonio linguistico. Il lavoro difficile sarà per i traduttori...».
Infatti per l’Italia il grande Marcello Marchesi creò il famoso “Sono Pazzi Questi Romani”: nell’originale come era?
«In realtà in francese c’era la frase “Ils sont fous, ces Romains!”: la genialità del vostro Marchesi è stata creare ed evidenziare l’acronimo S. P. Q. R. Nel nuovo albo ci sono alcuni nomi di luoghi con cui vengono fatti dei giochi di parole che non sarà facile tradurre».
Ci saranno anche i diversi dialetti italiani?
«Il lettore francese non potrebbe capire, però forse nella traduzione italiana potrebbero esserci. Per esempio, in Asterix e i Pitti il traduttore scozzese ha fatto una ricerca sui modi di dire in gaelico e li ha inseriti, infatti è molto più interessante e ricca di quella inglese».
In Italia c’è sempre stata grande rivalità tra le città…
«L’ho tenuta presente e spero di averla rispettata. In Francia sono sconvolti dalle rivalità anche culinarie tra le città italiane: per il visitatore però è molto piacevole perché è un segno di vivacità».
In Francia non è così?
«È un po’ diverso, da noi magari ci può essere rivalità tra la cucina della Borgogna e quella dei Pirenei: è più una cosa su scala regionale, mentre da voi ogni città o paese ha le sue caratteristiche».
Quindi ci saranno anche questi aspetti per così dire “gastronomici” nel nuovo Asterix?
«All’epoca i piatti forti della cucina italiana non esistevano e quindi non sarebbe stato verosimile. C’era un equivalente della pasta ma non di altro, ma delle allusioni ci sono. Vi darò un piccolo scoop: nelle mie ricerche ho effettivamente trovato un condimento che veniva utilizzato molto ai tempi dei romani. Era fatto con viscere di pesce marinate con un gusto molto forte: se ne faceva un mercato molto ampio e ne esistevano diversi tipi e qualità. Per esempio ce n’era uno per ricchi che costava moltissimo. Vicino a Napoli c’era un allevamento di pesci apposta. Ho immaginato che i pirati di Asterix avrebbero potuto inserirsi nel “traffico” di questo condimento…».
Un albo di Asterix con protagonista l’Italia potrebbe essere anche un ottimo richiamo per il turismo nel nostro paese.
«Credo di sì: del resto una delle caratteristiche di Asterix è proprio quella di raccontare con ironia le caratteristiche umane, sociali, i modi di vivere nei vari paesi, giocando tra antico e moderno».
Quanto tempo ci vuole per scrivere una storia di Asterix?
«Due mesi per pensarci senza scrivere niente, sei mesi di lavoro sullo storyboard che poi mando a Didier, il disegnatore».
E quanto tempo ci mette Didier a disegnarlo?
«Circa sei mesi. Anche se sono solo quarantasei pagine Asterix richiede la massima attenzione anche ai minimi dettagli».
Il suo rapporto con il disegnatore è di continuo scambio?
«Sì, non di persona però perché lui vive in Texas».
Un francese in Texas? Che cosa ci fa lì?
«Non lo so (ride)».