Corriere della Sera, 9 luglio 2017
Donald (annoiato) lascia la sala. E al suo posto si siede Ivanka
C’ erano due momenti fatali nel secondo viaggio oltre Atlantico di Donald Trump e nessuno di questi era il G20 di Amburgo. Il presidente americano e il suo staff sapevano che, come al G7 di Taormina, si sarebbero trovati in completo isolamento anche nel format che meglio incarna l’ambizione di una governance globale, come puntualmente è accaduto.
Ma dal punto di vista della Casa Bianca, il valore politico e mediatico della visita di Trump in Europa ruotava essenzialmente intorno alla tappa in Polonia e all’incontro con Vladimir Putin a margine del summit sull’Elba. Tutto il resto, per l’erratico presidente americano, era noia, pura noia.
Il fotogramma che meglio ha incarnato questo stato d’animo, è quello di venerdì pomeriggio, quando pochi minuti dopo l’inizio della discussione sul clima, Trump ha abbandonato la seduta plenaria per recarsi all’atteso faccia a faccia con Vladimir Vladimirovich, che lo ha impegnato per il resto della giornata.
Non è stata l’unica assenza dal tavolo della discussione generale. Ieri mattina, il presidente americano si è nuovamente allontanato per il doppio bilaterale con il leader cinese Xi Jinping e il premier inglese Theresa May, ma questa volta è successa una cosa mai vista, che la dice lunga sulla considerazione che Trump ha del G20: a sostituirlo al tavolo dei grandi, si è infatti seduta la figlia Ivanka, presente in sala insieme al resto della delegazione Usa.
È stata la sherpa russa, Svetlana Loukach, a notare maliziosamente la novità e renderla pubblica con un tweet e due foto. Pare che la «first daughter» si sia fatta avanti quando ha preso la parola il capo della World Bank, intervenuto sul tema della promozione professionale delle donne in Africa, tema a lei caro, anche se non si è azzardata a prendere la parola.
Ma torniamo ai momenti fatali. Il discorso di Varsavia ha offerto a The Donald un fuggente quanto agognato momento di respiro dall’assedio di Washington: accolto da una folla nazionalista e plaudente, Trump ha letto il discorso più coerentemente conservatore della sua presidenza. Nessun accenno alla deriva autoritaria e illiberale in corso in Polonia. Invece, l’invocazione dell’eccezionalismo dell’Occidente e la domanda in termini quasi brutali e spengleriani sulla volontà di difendersi e sopravvivere della civiltà occidentale. Ancora, l’assicurazione, ignorata in maggio al vertice Nato, sulla garanzia di sicurezza americana a difesa dell’Europa. E infine, l’accusa alla Russia di «attività destabilizzanti», toccando così la corda profonda della sensibilità polacca.
Erano appena passate ventiquattr’ore, che la retorica anti-russa era bella e seppellita e il capo della Casa Bianca dava colpetti sull’avambraccio di Vladimir Putin, dicendogli di essere onorato di poterlo incontrare. Seguiva un colloquio fiume di 2 ore e 16 minuti, l’annuncio del cessate il fuoco in Siria, l’impegno a non fare della polemica sulle presunte interferenze russe nelle elezioni Usa un ostacolo al miglioramento dei rapporti, una promessa di lavorare insieme nonostante le divergenze per disinnescare la crisi nella penisola coreana.
Sono risultati utili e importanti per la stabilità mondiale, anche se non c’è stato alcun accenno alla sicurezza nucleare e alla continua tensione sul confine orientale della Nato, dove sarebbe opportuno che Mosca e Washington concordassero meccanismi per il controllo e la gestione degli imprevisti.
Il resto, si diceva, per Trump è stato un esercizio noioso. Il presidente americano non ha battuto ciglio alla prospettiva di rimanere isolato sul clima, com’è stato del caso. Neppure l’accenno all’uso dei combustibili fossili, inserito su richiesta americana nel comunicato finale, lo ha convinto a modificare il suo atteggiamento di totale rifiuto dell’accordo di Parigi, che gli altri 19 hanno dichiarato «irreversibile». Solo anche sul commercio, ma senza patemi: lui, santo protettore di America First, ha perfino accettato il concetto della «lotta al protezionismo». Nella visione trumpiana: parole, parole, parole.
Eppure rispetto a Taormina, anche Donald Trump sembra aver imparato alcune lezioni, adeguandosi alle esigenze del codice diplomatico. Più rilassato, più ameno, il capo della Casa Bianca ha perfino lodato la cancelliera Angela Merkel, nonostante i dissensi, elogiandone «il lavoro fantastico» da presidente dal G20.
Un’ultima notazione, a proposito delle proteste. Donald Trump non le condivide di certo, tantomeno nelle loro forme violente, quelle che hanno messo a ferro e fuoco Amburgo. Ma come hanno spiegato alcuni consiglieri del presidente, quelle migliaia di persone in marcia contro la globalizzazione, in fondo le capisce come nessun altro. Se fossero state americane, forse avrebbero votato per lui.