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 2017  luglio 09 Domenica calendario

Il flop dell’autotassazione di Oslo

Chissà se a Oslo qualcuno ha pensato che le tasse sono «una cosa bellissima», come dichiarò una decina di anni fa l’allora ministro dell’Economia italiano, il compianto Tommaso Padoa-Schioppa. Certo, quando a giugno il governo di centrodestra norvegese ha lanciato il progetto di tassazione volontaria, probabilmente sperava in qualcosa di più del misero extra-gettito ricavato in un mese: appena 1.325 dollari, poco più di 1.150 euro. Segno che anche il proverbiale senso civico nordico scricchiola quando si tratta di mettere mano volontariamente al portafoglio.
L’iniziativa era nata per rintuzzare le critiche dell’oppposizione di centronisitra, in vantaggio nei sondaggi in vista delle elezioni di settembre: i massicci tagli fiscali attuati dal governo per far fronte al crollo dei prezzi petroliferi – sostenevano i laburisti – hanno beneficiato i più ricchi, allargando il divario sociale. Di qui la proposta dell’esecutivo: se qualcuno pensa di versare troppo poco al fisco – aveva dichiarato la ministra delle Finanze Siv Jensen – ha ora l’occasione di pagare di più. Giusto in linea di principio, considerando che per avere determinati servizi – e il Welfare nordico rimane ancora di prim’ordine – va garantito allo Stato un certo livello di entrate. Quello che forse non era stato considerato è che la Norvegia ha comunque già una delle aliquote marginali più alte sui redditi personali più elevati, al 46,7%, e che l’autotassazione rischiava di restare un miraggio anche qui. Come i primi numeri sembrano confermare, con il danno ulteriore – sono sempre i laburisti a denunciarlo – che lo schema fiscale introdotto per far posto alla “voluntary tax” rischia di costare più del gettito che garantisce.