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 2017  luglio 09 Domenica calendario

La bike economy in Europa vale 513 miliardi di giro d’affari

La bike economy, cioè l’economia che gira attorno alle due ruote, in Europa potrebbe generare un giro d’affari annuo di 513,19 miliardi di euro. Lo dicono i dati dell’European Cyclist Federation (Ecf) che ha presentato un dossier all’Ue per promuovere lo sviluppo della mobilità integrata. Lo studio ha sommato nei 28 Paesi Ue il valore della produzione di biciclette e componenti con gli investimenti in infrastrutture stradali. I risparmi in termini di minore spesa sanitaria, minore spesa energetica, di diminuzione dell’inquinamento e del traffico. Il miglioramento del design urbano, della sicurezza stradale e della qualità di vita. Fino al fatturato generato dal turismo sulle due ruote: ogni chilometro di ciclabile turistica genera un indotto tra i 110 e i 350mila euro all’anno.
L’economia che gira attorno alle due ruote è un’economia virtuosa, che trasforma le persone e il territorio. Pedalando si sta meglio. Migliora la qualità della vita. Si prevengono le malattie. Si rallentano i tempi delle nostre caotiche giornate. Si va al lavoro senza inquinare, senza aumentare il traffico e risparmiando sui costi del carburante.
Insomma la bicicletta, che non a caso è tornata tanto di moda tra i giovani, è la macchina perfetta immaginata da Leonardo da Vinci, capace però di trasformare le moderne metropoli in smart city. In Italia per ora è solo cosa di pochi, nonostante i tanti appassionati. Non è ai primi posti delle agende politiche, in termini di programmi di mobilità integrata e sviluppo sostenibile.
A ll’estero non è così. In Francia e in Belgio se vai in ufficio in bicicletta ricevi un bonus in busta paga. Per ogni chilometro percorso sulle due ruote nel tragitto casa-lavoro, certificato da una app dedicata, si ricevono 25 centesimi di euro.
Tutte le principali strade del centro di Londra, da un lato e dall’altro, hanno delle corsie dedicate ai ciclisti: le “Boris lane” dal nome dell’ex sindaco che le aveva fortemente volute. I colletti bianchi che arrivano ogni mattina dall’hinterland con i treni pendolari, salgono sulle loro britanniche bici pieghevoli e sfrecciano al lavoro. Con ogni tempo.
La città di Londra investe ogni anno per la mobilità ciclistica sostenibile sulle due ruote 400 milioni di euro. Di più. La Norvegia è la prima nazione che si spinge oltre: a Oslo hanno costruito tunnel sotteranei per smistare il traffico automobilistico. Tra due anni le auto non potranno più entrare in città. Solo mezzi pubblici e bici.
L’Olanda ha deciso dal 2025 di vietare la circolazione alle auto con combustibili fossili. Di contro tra cinque anni si stima che verranno prodotte 30 milioni di bici elettriche, utilizzate da altrettanti nuovi ciclisti, in sostituzione delle auto per i loro spostamenti urbani.
L’uso della bicicletta nelle città nei tragitti inferiori ai cinque chilometri, secondo uno studio dell’Università di Amsterdam, riduce il traffico del 40%, elimina del 55% le code in auto, abbassando di 10 km il limite massimo di velocità.
L’Italia è la maglia nera in tema di bici e mobilità. Ha il record in Europa di auto circolanti (608 auto ogni mille abitanti) e di telefonini (109 ogni 100 abitanti). Un mix micidiale per la sicurezza stradale. Nel 2016, dati Istat, sono morti in strada per incidenti 338 ciclisti. Uno ogni 26 ore. Il dato più alto in Europa. Allo stesso ritmo della guerra civile in corso in Venezuela. Ma gli incidenti fanno notizia solo quando si tratta di persone note. Come è stato in aprile con quello che è costato la vita al campione Michele Scarponi, in una curva vicino casa. O come quello a Nicky Hayden, ex campione del mondo in MotoGP. Oltre il 64% delle vittime in bici è concentrato nelle città. Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna sono le regioni con il maggior numero di morti.
Poi c’è il tema delle strade. In Italia, per un retaggio culturale sbagliato legato alla gestione delle infrastrutture, si spende tanto e male, spesso, per la realizzazione delle strade nuove. Dove si guadagna di più. Con cantieri infiniti e appalti che lievitano. Si dà poca attenzione invece al tema fondamentale della manutenzione delle strade esistenti. Provate a passare il confine tra Italia e Svizzera e questa semplice considerazione vi balzerà agli occhi. A complicare il quadro c’è anche l’abolizione delle Province che avevano la competenza sulla manutenzione stradale. In questo interregno dove le competenze vengono spostate tra Regioni e Comuni le strade non le sistema quasi più nessuno. Risultato: le strade italiane per chi va in bici sono un buco nero. Pedalare nel nostro paese è difficile non solo perché mancano le piste ciclabili ma soprattutto perché è pericoloso considerando lo stato impietoso in cui versano.
Una politica infrastrutturale nazionale che puntasse a una generale sistemazione e ammodernamento delle strade esistenti migliorerebbe di colpo l’immagine dell’Italia. Farebbe aumentare di qualche punto il Pil perché darebbe da lavorare a tante aziende di costruzione in difficoltà con la crisi dell’edilizia residenziale. Le strade asfaltate bene migliorerebbero la sicurezza di chi sceglie di utilizzare la bici per gli spostamenti casa-lavoro senza dover rischiare – come succede adesso – la vita ogni giorno. Insomma la strada da fare, letteralmente, per la bike economy è ancora molto, molto lunga.