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 2017  luglio 09 Domenica calendario

Intervista a Galliano Juso: «Milian era ossessionato dal Monnezza. E una sera con Robert Redford…»

Gli schiaffi in faccia a Bombolo, tze tze; gli “l’alimorté” di Tomas Milian nel ruolo di Monnezza-Girardi. Saviano ispiratore di Tatanka. Giancarlo Giannini dentro un film di Tinto Brass; Moana Pozzi davanti alla macchina da presa, non solo nuda; Franco Franchi vestito da kung fu: anche questo nasce dalla testa, dalla tenacia, dalla visione e dalle cambiali di Galliano Juso, ottant’anni nel gennaio scorso, ha visto e vissuto, ha rischiato, spesso ha perso, qualche volta è andato pari. Dal cinema ha preso ceffoni alla “Bombolo”, e non lo nega, senza filtri, come quando racconta: “Il problema è uno: come imprenditore faccio schifo”. Però dal cinema ha mantenuto la magia di credere che oltre la collina c’è il sole: “Sto preparando un film sul regista peggiore mai avuto in Italia: Tanio Boccia, roba da ‘serie zeta’. Sono così, amo i perdenti, quelli marginali. Amo le comparse non gli attori principali, quelli che si sentono primedonne”.
Lei non è di Roma…
Sono di Alberona, vicino Foggia. Nella Capitale mi hanno portato da ragazzino, insieme ai miei due fratelli: dovevamo studiare a Roma, pretesa dei miei genitori. Però mi sento sempre e ancora pugliese (l’accento denuncia la sua provenienza).
E il cinema?
È stato il mio refugium peccatorum: l’università non mi convinceva, ero passato da Architettura a Matematica, senza grandi entusiasmi. Per fortuna avevo un parente che lavorava in questo mondo, Gianni Di Venanzo (celebre direttore della fotografia, morto negli anni Sessanta), ed è stato lui a introdurmi, a presentarmi tutto il Gotha dell’epoca: da Fellini ad Antonioni, poi Bertolucci e Ferreri. Anzi, con quest’ultimo ho proprio lavorato, come suo aiuto, in Controsesso (1964), Tognazzi protagonista. Niente di che…
Non le è piaciuto il film?
No, ho solo capito che non era la mia strada professionale.
Perché?
Troppo intasata, troppa concorrenza, avevo dubbi sulla carriera, anzi il termine “carriera” mi è sempre andato stretto: non sono mai riuscito a rendere mio quel concetto. Comunque, da subito, ho capito di dover passare alla produzione, nonostante non abbia mai compreso nulla dei segreti dell’imprenditore.
La sua è una fissazione…
È la realtà. Ho venduto a due lire tutti i diritti dei miei film di maggior successo, e poco prima della nascita delle televisioni commerciali.
Errore enorme.
Per me il film si sfruttava sul momento, al botteghino, poi baciavo chi acquistava i negativi. Ho perso otto pellicole con Tomas Milian. Le migliori.
Le uova d’oro…
Sono un cretino, tutti sapevano l’imminente avvento delle tv, solo io non ho compreso la portata. L’unico obiettivo era non pagare più i magazzini nei quali stivavo i miei prodotti. Incredibile. È la più grande stronzata della mia vita.
Sarebbe stato miliardario.
Lo so. E invece sono il produttore più povero d’Italia.
Gli altri sono diventati ricchi grazie a lei.
Eh… Li trasmettono in continuazione, li vedo ovunque, sempre; e ovunque e sempre mi ricordano l’imbecillità. Ma che devo fare? Quegli otto con Tomas sono un cult totale, poi me li hanno pure copiati e senza pagarmi i diritti.
Torniamo ai suoi esordi…
Seguivo le orme di Carlo Ponti, stavo al suo fianco e cercavo di capire e di conoscere; poco tempo dopo, l’illuminazione: avevo saputo della fine del duo Franco e Ciccio, e ingaggiai immediatamente Franco Franchi per due film, il primo Ku-Fu? Dalla Sicilia con furore (1973). Quasi 88 milioni il costo totale per un miliardo e otto d’incasso…
Scarica d’adrenalina…
Ero pieno di cambiali. A pacchi. Ma allora era così, allora funzionava in questo modo.
Quindi non è stata solo quella volta…
Macché! Stessa storia per Squadra antiscippo (1976): nessuno ci credeva, oltre a produrlo fui costretto a organizzare la distribuzione. Anzi, in realtà anche l’idea del film è mia, un’illuminazione nata da un’esperienza di vita.
Scippato?
Sì, a Napoli. Ero lì con Bruno Corbucci per girare Il trafficone (1974), quando due su una moto mi strapparono la borsa con dentro le paghe per le comparse: quasi un milione e mezzo di lire. A quel punto arrivarono due poliziotti dediti agli scippatori, due tipi improbabili vestiti in borghese; due disgraziati surreali, mi dissuasero sulla denuncia: ‘Dottò, non ce pensi più, quelli se li sono già mangiati’. Ci venne da ridere.
Quindi, lei…
Nessuno desiderava il film, allora si puntava sui poliziotteschi, me compreso, su pellicole come quelle con Luc Merenda, dei successi per l’epoca, dove i ruoli erano ben chiari e la violenza protagonista. Non si doveva ridere.
Con Milian il sorriso c’è…
Infatti a nessuno interessava la sceneggiatura. Snobbavano la caciotta.
Traduzione di “caciotta”.
Esistono piatti prelibati, costosi e magari considerati raffinati, da accompagnare con lo champagne; e poi ci sono le amatriciane, pasta e fagioli e similari, cibo buono altrettanto. I miei film erano delle amatriciane, apprezzati o apprezzabili da chiunque.
Gli altri registi dell’intellighenzia, con i quali si è mosso all’inizio, come reagivano alle sue caciotte?
Antonioni restava un po’ troppo sulle sue, Fellini neanche conosceva i miei film; a Bertolucci qualcosa piaceva. Ah, un fan era Mario Schifano, quando usciva una pellicola con Milian dovevo correre a casa sua per portargli una copia in anteprima.
Interveniva sui soggetti?
Erano proprio miei. Le idee partivano da me, poi altri scrivevano: come per Squadra antiscippo, stessa storia con Squadra antifurto : nasce dopo che mi hanno rubato l’auto appena ritirata; Squadra antitruffa solo per una mia passione legata ai furbetti; e così avanti. Solo Assassinio sul Tevere fu un’idea di Corbucci, era affascinato dal fiume, dai barcaroli e dagli atleti in canoa.
Milian fu la scelta giusta…
Sì, ma quattro giorni prima di iniziare le riprese di Squadra antiscippo ricevo un telegramma dalla sua agente: “Le restituiamo l’anticipo, niente film”.
E lei?
Mi infilo a casa di Tomas: “Forse non ti è chiaro, ma su questa pellicola mi gioco anche le mutande, quindi o giri con me o mi butto di sotto. Anzi, magari ci buttiamo tutti e due”. Si arrese.
Sul carattere di Milian ne girano molte…
Era molto timido, introverso. Per un periodo della vita è stato ossessionato dal personaggio del Monnezza, sempre vestito uguale a lui, andava anche a dormire con lo stesso costume di scena, e neanche giravamo.
La famosa tuta celeste da meccanico.
Ecco, quella. Una sera mi chiama disperato dal Jackie O’ (celebre discoteca di Roma): era insieme a un altro attore, un suo amico, gli impedivano di entrare, non li avevano riconosciuti. Tenuti fuori perché impresentabili. “A Gallià, mi hanno fermato!”.
Lei abituato a certe scene…
Al telefono quasi piagnucolava, sembrava un bambino. “Sono qui con Robert, che faccio?” Stai buono, passami il responsabile.
Chi Robert?
Robert Redford.
Impossibile.
È così. Tutti e due vestiti da Monnezza. Sono stato costretto a garantire per loro, a quelli della discoteca è preso un colpo. Quanto ho riso.
Lei e la censura.
Mi hanno massacrato. Uno strazio. Uno dei casi peggiori è stato con W la foca, in sala appena una settimana e mezzo, poi stroncato dalla magistratura per contenuti osceni e volgari, mai ripreso dalla televisione perché ancora vietato ai minori di 18 anni. È solo in Dvd. Ed è un film straordinario, e non lo dico solo io, ma ho dei critici importanti che lo affermano. All’epoca era così…
Altri casi?
Con I carabbinieri, mi raccomando le due “b”, stessa disavventura: chiusero la sala di San Giuseppe Vesuviano dopo mezzora di visione, e per oltraggio all’Arma. Andai con il mio avvocato, il quale mi diceva “non ti preoccupare, ci penso io”, poi quando vedeva il magistrato, e ogni volta, si inginocchiava e diventava mansueto. Insomma, il guaio l’ho dovuto risolvere io dimostrando che non c’era alcun oltraggio, poi ci salvò il pistolotto finale di Renzo Montagnani nel ruolo di ufficiale, quando gridava: “I carabinieri sono figli di povera gente, contadini e si alzano tutte le mattine e non fanno mai sciopero”.
Montagnani è considerato da molti un bravissimo attore, sprecato in certi ruoli.
Era confuso: lui funzionava all’interno delle commedie, quello era il suo passo, mentre quando puntava su altro, diventava uno qualsiasi.
Lei ama i personaggi di serie B.
Anche di serie Z. Il prossimo progetto cinematografico, per la regia di Elio Ciprì, è Il grande Boccia, (Paolo Calabresi il protagonista): storia reale di Tanio Boccia, parametro assoluto nel mondo del cinema, per indicare il punto peggiore di questo mondo.
Nel senso?
Quando un film è brutto si dice: peggio di te c’è solo Tanio Boccia.
Una sorta di Ed Wood italiano…
Era unico, talmente trash, talmente pessimo, da ricoprire un ruolo. C’è anche uno scherzo telefonico di Sordi contro Fellini: Federico era a Los Angeles per ricevere l’Oscar, Alberto lo chiama: “Aoh, ma che fai lì! Non hai vinto nulla, è tutto uno scherzo, la statuetta non è per te”. Silenzio. “Ah sì, davvero. E chi l’ha vinta?”, la risposta di Fellini. “Tanio Boccia!”, parola di Alberto.
Era davvero così pessimo?
Tanio arrivava a inserire pezzi di film di altri per completare il suo, oppure ne girava quattro contemporaneamente, quindi incollava, tagliava, montava. Era senza regole. Un’altra volta chiama un cinema per capire come andava la sua pellicola: “Male, non c’è nessuno?”. Ma che dicono? “Nulla, non c’e nes-su-no!” Nella sala poco distante proiettavano il primo western di Sergio Leone, pienone, pubblico in fila, mentre lui insisteva con i Maciste…
Era fuori tempo…
Il giorno dopo lo smacco, andò dal produttore in lacrime, ma con una soluzione: “Nel prossimo, mettiamo Maciste a cavallo. Il cinema è solo questione di forbici”.
Un uomo pratico…
Una volta nominò il suo macellaio assistente alla regia: non riusciva più a pagargli il conto.
Lei ora è nei cinema con “Maria per Roma”, film apprezzato dalla critica…
Sì, ma non mi interessa. Quando l’hanno proiettato alla Festa di Roma, sono rimasto al bar con il cane della regista, Karen Di Porto.
È schivo…
No, ho paura degli insulti, poi non me ne frega proprio nulla di mostrarmi: mica sono un attore!
Un altro errore che si imputa…
Checco Zalone. Ancora mi mangio le mani. Potevo prenderlo, ma non sapevo del suo successo su internet, quindi non ho capito il potenziale e non ho cercato il milione di euro necessario.
Ha prodotto “Snack Bar Budapest”.
Non mi piace, è andata male già dal primo tempo della sceneggiatura, ci ho rimesso un pacco di soldi; non è neanche erotico, ero certo del flop, ma non sono riuscito a tirarmi indietro. Alla fine Brass mi ha dato ragione.
È “responsabile” di alcune commedie sexy anni settanta.
Meravigliose, mi dispiace di averne realizzata solo una con Gloria Guida, perché erano divertenti. A un certo punto il regista si fece male e lo sostituii con l’aiuto di Corbucci…
Lei dietro la macchina da presa?
E mica solo quella volta, ma non le posso dire in quali occasioni. Per carità…
Attori primedonne?
Franco Franchi, uno un po’ stronzo. Bizzoso. Pretendeva le attenzioni e l’attenzione di tutti, e quando si incavolava, la prima cosa che rinfacciava era: “State zitti, senza di me non mangia nessuno”. Anche se questa frase è abbastanza tipica…
Di chi?
Della maggior parte degli attori. Anche Tomas non era da meno… Come sono andato?
Bene, perché?
Davvero? Spero di non avervi deluso…
Twitter: @A_Ferrucci