la Repubblica, 9 luglio 2017
Lily Collins: «Voglio arrivare dritto al cuore»
Per un curioso sistema di triangolazione telefonica, per parlare con Lily Collins a Parigi bisogna chiamare l’ufficio di una delle sue agenti a New York: risponde con voce allegra alle sei del mattino per metterci in comunicazione, alle undici ora di Greenwich, con la giovane attrice figlia del musicista Phil Collins. Di lui non parleremo, anche perché il talento è un dono che viene distribuito con imparzialità alla nascita, e Lily Collins, che studia recitazione da quando aveva sedici anni, ha già dimostrato di averne davvero tanto. Nei giorni scorsi si trovava a Parigi per la sfilata di Chanel Haute Couture, e adesso sta arrivando in Italia come ospite d’onore dell’Ischia Global Film & Music Fest. Sarà presentato lì, in anteprima europea il 15 luglio, Fino all’osso (To the bone), il film Netflix scritto e diretto dalla sceneggiatrice Marti Noxon in cui si racconta la storia di una ragazza malata di anoressia e del suo viaggio verso la guarigione. Lily Collins ha ventotto anni, incarna un genere di bellezza che è d’epoca e ultra-moderna insieme, è cresciuta tra l’Inghilterra e Los Angeles e ha da poco pubblicato un libro di saggi autobiografici che si apre con un capitolo sulle sopracciglia e va avanti con racconti personalissimi sulla dipendenza affettiva e i disturbi alimentari. In Fino all’osso ricorda Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany. Per le famose sopracciglia, ma anche per la capacità di accennare, sempre sottotraccia, tra una battuta e l’altra e solo con lo sguardo, a un’inquietudine che non si può raccontare a parole. È un ruolo molto diverso da quello di ecoterrorista con cui Collins ha preso parte a Okja, la fantacommedia a sfondo ecologista di Netflix presentata lo scorso maggio a Cannes.
Come si è preparata?
«Interpretare Red in Okja è stato impegnativo e divertente. Per preparami al ruolo di Ellen in Fino all’osso invece ho dovuto fare un lavoro più personale, sono andata a rileggere le pagine del mio diario dei periodi in cui mi sono trovata, come lei, ad avere a che fare con una forma di disturbo alimentare. Ho anche guardato documentari sul tema e ho frequentato dei gruppi di autoaiuto per persone che si trovano ad affrontare questo tipo di problemi. Ho parlato con moltissime donne. Quando mi è arrivata la sceneggiatura avevo appena finito di lavorare al capitolo del mio libro Unfiltered in cui racconto la mia esperienza con l’anoressia, ed è stato uno di quei momenti in cui pensi che la vita ti stia inviando un segnale, ti stia dando un compito da portare a termine. Infine, quando ho incontrato la regista Marti Noxon, che ha scritto la storia partendo da materiale autobiografico, mi sono sentita subito a casa».
Ha fatto anche un lavoro sul corpo?
«Come attrice lavoro sempre anche con il corpo, basta pensare a quante persone ci sono che si occupano dei capelli, del trucco o dei vestiti di un personaggio. Da sempre chi fa il mio lavoro modifica il proprio corpo per interpretare un ruolo: si prende peso, ci si fanno muscoli, si dimagrisce. Fa parte del mestiere. Comunque sono stata sempre seguita da una nutrizionista».
Dopo aver visto il trailer di “Fino all’osso” qualcuno ha scritto che è un film che in qualche modo potrebbe favorire i disturbi alimentari, darne una versione in un certo senso addolcita. Secondo lei è successo perché, invece di dare giudizi, ci si limita a raccontare una storia?
«La verità è che non si può capire molto di un film dal trailer, e chi ha scritto queste cose ha visto solo quello. Certo io, che ci sono passata, non prenderei mai parte a un pro- getto che presenta l’anoressia come una cosa glamour».
Lei è cresciuta a Los Angeles, pensa che sia una città particolarmente difficile per una ragazzina?
«Non credo, penso che crescere, per un’adolescente sensibile, possa essere difficile ovunque. Fin da bambina ho vissuto tra l’Inghilterra e gli Stati Uniti, e ho dei bellissimi ricordi di entrambi i luoghi. Amo Los Angeles, la considero la mia casa, ma mi sento anche molto europea».
Ha iniziato a recitare prestissimo, a due anni.
«Si può dire di sì, nel senso che a due anni ho fatto una piccola parte in uno show televisivo della BBC, Growing pains. Ma ho iniziato a studiare davvero recitazione verso i sedici anni, quando mi sono iscritta a un corso a Los Angeles».
Ci sono attrici a cui si ispira?
«Tra le mie attrici preferite di una volta ci sono Audrey Hepburn ed Elisabeth Taylor, adoro riguardare i loro film e ho una passione per tutto ciò che è “vecchia Hollywood”. Invece tra le star di oggi mi piacciono molto Meryl Streep, Natalie Portman, Tilda Swinton, Kate Blanchett. Si tratta di donne forti, che si reinventano di continuo e ti stupiscono ogni volta».
A proposito di “vecchia Hollywood”, in questo periodo compare anche nella serie “The Last Tycoon”, tratta dal romanzo incompiuto di Francis Scott Fitzgerald. Pensa di essere stata scelta per la sua bellezza che in qualche modo ricorda quella delle attrici del passato?
«Non saprei, ma certo mi sono sentita molto a mio agio a interpretare un personaggio dell’epoca d’oro del cinema, a immergermi nell’atmosfera e indossare i costumi degli anni Trenta. Mi interessava soprattutto dare forma al contrasto tra le convezioni sociali di allora e i conflitti interiori di una giovane donna che cercava di affermarsi nel mondo maschilista degli Studios».
Cosa le piace di più del suo lavoro?
«La cosa più bella del mio lavoro è che mi dà la possibilità di raccontare storie sempre diverse e di arrivare al cuore delle persone. È quello che ho sempre sognato di fare e per cui mi sono impegnata fino a oggi».
Dopo il Festival di Ischia, dove sarà premiata per la sua interpretazione in “Fino all’osso” come attrice emergente, cosa pensa di fare?
«Non ho ancora deciso cosa farò dopo, questi ultimi tempi sono stati ricchi di esperienze, molto intensi e divertenti. Dopo la promozione di Okja e di Fino all’osso tornerò a recitare in The Last Tycoon.Mi sembra di essere già abbastanza impegnata».