La Verità, 9 luglio 2017
La vita (e le morti) di Al Baghdadi. Il califfo che sfrutta l’invisibilità
Quando Abu Bakr Al Baghdadi al Qureshi si mostrò in video per la prima volta, agli inizi di luglio 2014, tutti lo credevano gravemente ferito. Dalla moschea di Al Nuri (oggi distrutta) a Mosul, che era appena stata conquistata dalle truppe dell’Isis, si fece riprendere mentre invitava i mujahidin alla jihad: «L’annuncio del califfato è un dovere di tutti i musulmani», disse. Il governo iracheno continuò a insistere di averlo ferito e che quel video fosse un falso, ma non contava: era cominciato il nuovo corso dell’Isis e della sua propaganda e il terrorismo diventava una serie tv in (falsa) diretta. Il 10 giugno scorso, il governo siriano ha annunciato di aver ucciso Al Baghdadi in un attacco aereo. Sei giorni dopo, l’agenzia di stampa russa Tass ha fatto lo stesso, riferendo però di un altro raid, stavolta vicino a Raqqa. La reazione degli analisti internazionali è stata subito di grande scetticismo, ma stavolta la notizia è rimasta sui giornali, insieme al suo strascico di domande. È morto davvero, chi l’ha ucciso, dove, sapremo mai la verità? Il fatto che l’Isis non si sia affrettata a diramare video di smentita non ha alcun significato, per due ragioni: non segue un protocollo né per i vivi né per i morti e – la modalità schizoide dei suoi attentati lo dimostra – il suo operato non è mai prevedibile.
SUCCESSORE Non è un indice neanche il fatto che la Shura (il consiglio) starebbe riunendosi per nominare il successore di Al Baghdadi (la scelta sarebbe tra due nomi: Ayad Al Ubaidy, attuale ministro della guerra dell’Isis ed Eyad Al Jumaily, responsabile dei servizi di sicurezza). L’ultimo messaggio (audio) del leader, il primo dal dicembre 2015, risale ai primi di novembre scorso: l’assedio a Mosul era appena cominciato e lui, senza mai nominarlo direttamente, esortava i miliziani a combattere e «mantenere le posizioni con onore».
INVISIBILE I servizi segreti e di intelligence occidentali lo chiamano «jihadista invisibile». Diversamente da Osama Bin Laden – il leader di Al Qaeda ucciso dai corpi speciali della Marina statunitense il 2 maggio del 2011 -, Al Baghdadi si sottrae alla comunicazione e alla propaganda dell’Isis, che pure fa del corpo e delle immagini le fonti principali delle sue suggestioni. Rendendosi evanescente, Al Baghdadi ha identificato una purezza più radicale e terribile, tramutandosi in spirito, quindi in qualcosa di imprendibile. L’altro risultato di questa sua sottrazione è aver dato l’idea che l’Isis non sia un gruppo gerarchizzato (lo è) e che non abbia una struttura verticale (la ha).
UNIVERSITÀ Al Baghdadi si è autoproclamato califfo dello «Stato Islamico dell’Iraq e del Levante» il 29 giugno del 2014, quando aveva 43 anni. È nato a Samarra, in Iraq, in una famiglia modesta (prima grande differenza con Bin Laden, che era figlio di un ricco imprenditore), ha studiato pedagogia all’università di Baghdad e la sua carriera di terrorista è cominciata con l’occupazione americana dell’Iraq, seguita alla caduta di Saddam Hussein.
CARCERE Nel febbraio 2004, è stato catturato a Falluja e poi trasferito a Camp Bucca, una delle prigioni che gli americani avevano aperto in territorio iracheno per interrogare i sospetti terroristi e nelle quali, però, molti di loro ebbero modo di conoscersi, scambiarsi i contatti (pare se li appuntassero sull’elastico dei boxer) e cominciare a pensare, insieme e da alleati, al futuro della causa jihadista. «Era molto rispettato dall’esercito americano. Se voleva visitare gli altri detenuti, poteva farlo, noi no. E per tutto il tempo ebbe in mente quella nuova strategia, che portò avanti sotto gli occhi dei soldati stranieri: la costruzione dello Stato Islamico», ha raccontato, tre anni fa, un miliziano dell’Isis a Martin Chulov, giornalista del Guardian.
SCIITI Rilasciato, Baghdadi si ricongiunse alla resistenza jihadista, ma nel tempo che aveva trascorso in carcere era avvenuto un cambiamento fondamentale: Al Zarqawi, che aveva giurato fedeltà ad Al Qaeda ma guidava anche un gruppo jihadista indipendente (dal quale nascerà poi l’Isis) aveva portato i sunniti a combattere contro gli sciiti, oltre che contro gli americani. Nel 2006, però, Al Zarqawi viene ammazzato da un raid Usa, aprendo così la strada alla successione di Al Baghdadi, il nemico non solo dell’Occidente, ma pure di tutti coloro che non si convertono all’islam radicale, civili arabi e islamici compresi. Il primo attentato terroristico pianificato da Al Baghdadi, infatti, è rivolto ai fedeli sunniti: 31 morti, nella moschea di Umm Al Qura (agosto 2011).
ASSAD Lo stesso miliziano intervistato da Martin Chulov ha raccontato che, nella prima fase del suo insediamento, Al Baghdadi e i suoi uomini poterono contare sul sostegno di Bashar Al Assad, che consentiva loro di muoversi liberamente nell’aeroporto di Damasco, facendoli scortare in Iraq da funzionari siriani. Notevole: un regime sciita che appoggia un astro nascente del terrorismo sunnita.
CALIFFO Nel 2009, Al Baghdadi si unisce ai gruppi Isis in Iraq e nel 2010 si mette alla loro guida, subito dopo insignendosi (da solo) del titolo di Abu Bakr: «Primo califfo della storia, successore di Maometto». Nel 2013, dopo aver dichiarato guerra al governo iracheno e ad Assad, il suo progetto di un nuovo Califfato islamico diventa chiaro: creare uno Stato che si espanda oltre la Siria e l’Iraq. Il 29 giugno del 2014 ne viene annunciata la nascita.
ROMA «Conquisterete Roma e sarete padroni del mondo», dice pochi giorni dopo, in un audio messaggio diffuso su internet, la voce di Al Baghdadi. A confortare la sua megalomania c’è un dato indiscutibile: aver ricreato il califfato (l’ultimo era stato abolito in Turchia, nel 1924), storicamente una delle più forti ambizioni islamiche.
TOPLIST Alla fine del 2015, Al Baghdadi è tra gli 8 personaggi dell’anno del Times, insieme a Donald Trump, Angela Merkel, Vladimir Putin, per dire. A volerlo catturare, sin da allora, ci sono Usa, Iran, Hezbollah, Israele, Egitto, Turchia, il regime siriano (che ha poi interrotto i suoi legami con l’Isis) e i Paesi del Golfo. I suoi seguaci sono diventati cittadini di un popolo che sembra disposto a sacrificare la propria vita per convertire il mondo all’Islam radicale. Un popolo invisibile che, quindi, difficilmente potremo dire sconfitto anche dopo la (probabile) vittoria militare a Raqqa e a Mosul: il fatto che l’Isis stia perdendo sul suo campo, influirà probabilmente in modo limitato – come è già accaduto con Al Qaeda – sulla capacità del gruppo di sopravvivere e sulla possibilità che nuove realtà qaediste prendano forma. Anche la morte di Al Baghdadi, se confermata, difficilmente condizionerà il presente e il futuro dell’Isis e, più in generale, della jihad.
Nel suo passato un’ex moglie e una schiava americana uccisa
«Amava i bambini, era il loro idolo», ha raccontato Saja al Dulaimi, ex moglie di Al Baghdadi, che ora vorrebbe vivere in Europa e pensa che sharia e libertà non siano in opposizione. Prima del Califfo, aveva sposato un tenente della guardia del corpo di Saddam Hussein, morto in battaglia. Suo zio, poi, le fece conoscere un uomo che cercava una vedova come moglie. Secondo un’altra versione, i due si sarebbero conosciuti in una delle chat che i jihadisti usano per irretire le ragazze. L’altra donna sciaguratamente legata ad Al Baghdadi è Kayla Muller, cooperante americana rapita dall’Isis nel 2013 e poi uccisa: stando al racconto di una giovane yazida (le yazide sono tra le schiave sessuali preferite dei jihadisti), il leader la costrinse a sposarlo e non smise mai di abusare di lei. Aveva 26 anni.