
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ci troviamo in tasca 14 miliardi e mezzo di euro. Forse un po’ meno di quello che Renzi avrebbe voluto, forse un po’ più di quello che abbiamo meritato.
• Da dove vengono fuori questi soldi?
Ricorderà la questione del rapporto tra deficit e Pil. Deficit = differenza fra entrate e uscite, compresi gli interessi pagati sul debito. Pil = Prodotto Interno Lordo, cioè tutto quello che produciamo o che muove denaro (quindi anche le rapine e i furti). Il deficit, cioè la differenza tra entrate e uscite, non dovrebbe essere superiore al 3% del Pil. Così è stabilito nel famoso trattato di Maastricht. Ma noi abbiamo un debito pubblico mostruoso (2.228 miliardi di euro a marzo), quindi siamo obbligati a restare molto al di sotto di questo 3%. Secondo accordi presi in un tempo lontano, per noi questo rapporto dovrebbe essere dell’1,4%, proprio per avere un po’ di soldi con cui abbattere il debito. Renzi però discute da un pezzo con Bruxelles per avere, almeno quest’anno, un po’ di respiro. È chiaro che se potessimo sforare un minimo questo 1,4%, avremmo qualche denaro in più da spendere. Padoan ha lungamente trattato con Bruxelles e alla fine ieri la Commissione Europea ci ha concesso un rapporto deficit/Pil per il 2016 del 2,3%. Significa che siamo autorizzati a spendere 14,5 miliardi più del previsto. Il Tesoro ha subito scritto sul suo sito che questi denari consentiranno «al Governo di implementare il percorso di aggiustamento delle finanze pubbliche e al tempo stesso di sostenere la ripresa e stimolare la crescita, condizione chiave per la riduzione del rapporto debito/Pil». Speriamo.
• Il rapporto debito/Pil non è uguale al rapporto deficit/Pil.
No, in base al trattato di Maastricht il nostro debito dovrebbe essere pari al 60% del Pil, cioè qualcosa come 8-900 miliardi. Viaggiamo invece al 132,7% del Pil. L’ultimo dato, che risale allo scorso marzo, mostra che in un mese abbiamo accumulato altri 14 miliardi di debito, la stessa cifra che la Commissione adesso ci autorizza a spendere. C’eravamo impegnati a intaccare questa montagna fin da quest’anno, ma la Commissione ci ha concesso l’ennesimo rinvio, purché il rapporto debito/Pil alla fine del 2016 risulti almeno identico a quello del 2015. Non creda che anche questa, di tener fermo il debito, non sia una sfida.
• E nel 2017?
Nel 2017 la Commissione Europea pretende da noi qualche sacrificio compensativo. In un primo tempo, si era parlato addirittura di un deficit/Pil dell’1,1%, il che avrebbe significato tirar fuori, tra tagli e tasse, qualcosa come 20 miliardi di euro. Ci è stato concesso, alla fine, un deficit/Pil da 1,8%, il che significa comunque che l’anno prossimo dovremmo trovare da qualche parte otto miliardi. Dico «dovremmo» perché mi immagino che, passata l’estate e forse vinto il referendum, Renzi tornerà alla carica per avere altra flessibilità nel 2017. Se Renzi non vincerà il referendum il problema non sarà suo, oppure la Commissione dovrà rassegnarsi ad aspettare la fine della campagna elettorale, le elezioni e il solito governo di solidarietà nazionale. Anche se non sembra, gli sviluppi possibili sono abbastanza chiari.
• Ho imparatio anch’io però che per combattere deficit, debito e quant’altro serve la crescita. Che mi dice sulla crescita?
Sulla crescita andiamo male, non perché un minimo non ci sia, ma perché è la metà di quella dei nostri amici europei. L’Istat proprio ieri ha diffuso una stima di crescita del Pil per il 2016 pari all’1,1%, in linea con le previsioni della Commissione. Il fatto è che ancora poche settimane fa si ipotizzava un 1,2. E non è difficile immaginare che a Natale il saldo sarà pari all’1 se non allo 0,8%. La faccenda è abbastanza deprimente perché, come tutti dicono, stiamo sprecando una straordinaria finestra di opportunità che difficilmente si ripresenteranno di nuovo tutte insieme
• Queste opportunità sarebbero?
Prima di tutto il bassissimo, se non inesistente, tasso d’interesse sul debito pubblico. In secondo luogo la politica espansiva della Banca Centrale Europea, che ci consente di piazzare facilmente i nostri titoli. In terzo luogo il basso prezzo dell’energia. Sono condizioni che rischiano di venir meno. Il petrolio è tornato sui 50 dollari al barile e le previsioni dicono che alla fine dell’anno potrebbe stare sui 60: poche settimane fa era sceso fino a 25 dollari. L’euro si sta rafforzando ed è probabile che Draghi non potrà continuare a comprare debito oltre il marzo dell’anno prossimo. Anche la situazione dei tassi, in cui le banche dopo averci dato un mutuo dovrebbero mandarci a casa un assegno per compensarci degli interessi negativi, deve considerarsi eccezionale, cioè destinata a non durare.
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