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 2016  maggio 18 Mercoledì calendario

Le tedesche vogliono fare le casalinghe

«Sie ist wieder da», è tornata, questo il sintetico titolo dello Spiegel. Chi? Die Hausfrau, la casalinga. Le femministe rabbrividiranno, e con ragione, ma questa è la realtà. Innanzi all’alternativa: figli o carriera, sempre più sono quelle che scelgono la prole.

Alla domanda: «Chi dovrebbe guadagnare per mantenere la famiglia?», l’81% risponde tutti e due, e solo il 19 sostiene che dovrebbe essere l’uomo. Ma la realtà è un’altra: in media, vent’anni fa, le donne lavoravano 38 ore alla settimana, oggi sono scese a 26, un chiaro indizio che la maggioranza preferisce il part-time. «Ist die Emanzipation am Ende?» si preoccupa il settimanale, l’emancipazione è alla fine?
Forse la preoccupazione è esagerata, ma sorprendono i dati di un recente sondaggio. Sono gli uomini a essere più femministi delle loro compagne.
Il 65% è d’accordo che i padri debbano sacrificare il lavoro per occuparsi dei figli. Solo il 52% delle mogli pensa invece che il marito dovrebbe restare più in casa che in ufficio. Meglio che i padri di famiglia pensino alla carriera. Sempre il 36% degli uomini è ancora convinto che tocca a loro mantenere da soli moglie e figli, contro il 22% delle donne. La legge ha favorito i congedi di maternità per i padri, ma pochi ne approfittano. Il 73% delle donne che lavorano alla nascita di un figlio sceglie il part-time contro appena il 5% dei padri.
In un recente passato le donne che lavoravano pur avendo dei figli piccoli venivano chiamate Rabenmutter, madri corvo, perché si crede falsamente che questi uccelli trascurino la prole. Fino ai dieci anni almeno, era meglio lasciare il lavoro per dedicarsi esclusivamente alla famiglia. E ancora adesso alcune mie amiche tedesche sono d’accordo. Le donne che affrontavano un doppio impegno, a casa e in ufficio, venivano apertamente condannate, non solo dalle amiche, ma anche dalla chiesa cattolica, dai sindacati. I luterani erano più tolleranti, forse perché i loro pastori e pastore possono sposarsi.
Ieri dopo la lunga pausa per crescere i rampolli, era più facile ritornare in ufficio, e poter svolgere l’attività preferita. Ora si è tagliati fuori, e la carriera è rovinata per sempre. Però, le madri che non vogliano lasciare il lavoro non sono aiutate, mancano gli asili nido, e sono malviste se chiedono permessi per problemi familiari. «Emancipazione significa anche poter decidere», risponde Petra Meyer, 33 anni, e due bambini. «Scelgo liberamente di dedicarmi alla famiglia, e non mi sento affatto discriminata».
Sarah Prestele, 31 anni, si è laureata nel 2009 in matematica, la migliore del suo anno, poi ha seguito un corso per commercialista, infine nel 2012 è nato Luis, e lei ha lasciato perdere. Ancora oggi riceve telefonate dai cacciatori di teste che le offrono ottimo stipendio, prospettive di carriera: «Voglio pensare a mio figlio». Si limita a due giorni in uno studio commerciale: «Questo basta, non di più». Le donne che guadagnano il 60% del reddito familiare sono appena il 10%. E le madri in maggioranza continuano a lavorare non per scelta ma per necessità.
Un trend difficile da decifrare. Oggi lavora il 68% delle donne, ma sono sempre più quelle che scelgono il part-time, rinunciando a carriera e a un buon stipendio. Grazie alle donne che lavorano il pil cresce di 4,7 miliardi, ma le cifre non dicono tutto. Le donne non vogliono essere chiamate casalinghe: la famiglia non è un obbligo, ma una scelta. «Non lavoro e sono me stessa», è il nuovo slogan. Perché un’attività che ci ruba la vita deve essere preferita a quel che ci piace? Alina Bronsky ironicamente si qualifica come schreibende hausfrau, una casalinga che scrive. E la scrittrice provoca: «Definirsi casalinga è un atto rivoluzionario». Il femminismo, aggiunge, oggi è diventato nemico delle donne.