Il Fatto Quotidiano, 18 maggio 2016
La popolare di Bari, il gioiello del sud che deve fare i conti col decreto di Renzi
Nel Mezzogiorno è considerata una delle banche “gioiello” grazie ai risultati conseguiti negli ultimi anni e alla politica di espansione che l’ha portata a diventare la decima popolare d’Italia e per questo coinvolta nel decreto Renzi che la porterà a trasformarsi in spa entro l’anno, con la fine del voto capitario (un’azione un voto). La Banca Popolare di Bari in Puglia (e non solo) è stata in questi anni un rullo compressore, come ama raccontare il presidente Marco Jacobini. Quarant’anni nella banca, figlio di Luigi (fondatore, nel 1949, della CariPuglia e, nel ’60, di Pop Bari) è entrato in un istituto con 3 sportelli che sono diventati 385 dislocati soprattutto fra Puglia, Abruzzo, Campania e Basilicata. La famiglia è nei posti chiave del gruppo, unica dinastia bancaria rimasta. L’ultima operazione è il salvataggio di Tercas, la Cassa di risparmio di Teramo e di CariPescara, caricate sulle spalle di Bari con l’appoggio del Fondo interbancario. La ventesima acquisizione dal 1989, caldeggiata da Banca d’Italia, che ha sempre considerato l’istituto un’eccellenza grazie ai buoni indici patrimoniali e alla qualità del credito, nonostante le forti erogazioni creditizie in un’area geografica, il Mezzogiorno, storicamente abbonata a uno stock di maggiori sofferenze. Una marcia quasi trionfale che ha subito una battuta d’arresto nell’ultimo bilancio. Notizia che ha colpito i suoi piccoli azionisti, che sono numerosissimi anche qui, seppure la società non sia quotata in Borsa. Il bilancio 2015 s’è chiuso con una perdita di 300 milioni, effetto di una pulizia di bilancio a base soprattutto di rettifiche su crediti (a causa dello stock di deteriorati di Tercas, che saranno cartolarizzati) e altre attività finanziarie. Uno stop momentaneo, secondo i vertici. Si punta il dito soprattutto sulla trasformazione in spa: laBce infatti non considera gli avviamenti (il ritorno delle molte acquisizioni) e così l’istituto li ha spesati tutti nel 2015, alzando le perdite. Il top management pugliese considera quello chiuso un anno di svolta e punta sul piano industriale 2016-2020 per riprendere la marcia. A preoccupare maggiormente diversi risparmiatori è stato però il taglio del valore delle azioni, portato da 9,53 a 7,5 euro nell’ultima assemblea del 24 aprile. Un taglio del 22% passato quasi inosservato sulla stampa nonostante il numero dei piccoli azionisti convinto ad acquistare le azioni in filiale sia cresciuto senza sosta in questi anni: da 31.466 del 2005 a 69.182 del2015. Neanche lo stadio cittadino potrebbe contenerli.
Con il valore di 7,5 euro per azione, la Banca oggi capitalizza circa 1,17 miliardi, a fronte di un patrimonio netto consolidato di 1,08 miliardi. La Popolare di Sondrio (333 filiali), quotata a Piazza Affari vale 1,3 miliardi a fronte di un patrimonio di 2,2 miliardi e con un attivo di bilancio e una redditività lorda più che doppia. Vecchia storia: la differenza fra le valutazioni espresse in Borsa e quelle delle perizie con cui le banche non quotate hanno valutato le proprie azioni in questi anni si riscontra ovunque, non solo a Bari. E il decreto del governo ha scoperchiato il vaso di Pandora.
Diversi piccoli azionisti hanno iniziato ad agitarsi sui forum e sui social. Quanto successo in Popolare di Vicenza o Veneto Banca ha acuito la sindrome di restare intrappolati in un investimento a lungo remunerativo, ma illiquido. In Italia sono centinaia di migliaia i risparmiatori che in questi anni hanno acquistato allo sportello azioni di banche non quotate. Gli analisti di Consultique hanno stimato in 16 miliardi di euro i titoli degli istituti fuori dai listini di Borsa e difficilmente scambiabili. Risparmiatori che hanno sottoscritto allo sportello quote della propria banca sulla base di perizie commissionate dagli stessi istituti e dove la liquidabilità dell’investimento non è immediata né garantita. A Bari è gestita tramite un “Sistema di negoziazione interno” dove la banca fa da tramite ma non assume impegni, “riservandosi la facoltà di intervenire in contropartita diretta utilizzando il Fondo Acquisto azioni proprie nei limiti previsti dalla legge e dai regolamenti”. “Non sono necessariamente titoli a rischio: dipende dalla situazione della singola banca, ma in alcuni casi sono illiquide e sono state vendute in filiale alla clientela, magari in cambio di agevolazioni su finanziamenti, mutui, commissioni o convenzioni particolari”, spiegava Consultique.
Dopo aver salvato Tercas e CaRipe, Bari s’è trovata pochi mesi dopo a fare i conti col decreto popolari e l’obbligo di trasformarsi in spa. In passato gli aumenti di capitale sono andati a gonfie vele, grazie a una campagna a tutto spiano nelle filiali. È l’universo tipico delle popolari. Ora però il numero di azionisti che stanno chiedendo di farsi liquidare l’investimento è in aumento: è in sai hanno liquidità nell’ultimo bilancio, la quota di azioni proprie sul capitale è quasi triplicata, passando dallo 0,65% all’1,67% del capitale. Nell’ultimo aumento di capitale, le azioni erano state offerte a 8,95 euro. Fino a un anno fa, il tempo medio per venderle era inferiore ai 90 giorni, assicurava la banca nel prospetto. Adesso i tempi si sono allungati. Dall’Istituto assicurano che il “sistema di negoziazione interno” regola in modo cronologico le proposte di negoziazione che giungono alla banca. Negli ultimi tempi, le aste interne sono state molto piatte, fino al 18 marzo, quando il controvalore è schizzato a 20 milioni. È l’effetto dell’ingresso del colosso assicurativo Aviva, che ha concluso un accordo di partnership con Bari: la prima entrerà come azionista importante, la seconda venderà i suoi prodotti Vita e Danni nelle filiali. Aviva investirà altri 30 milioni, dando ossigeno ai piccoli soci in uscita. “Negli ultimi mesi è cresciuto il disagio di diversi piccoli azionisti che vogliono liquidare le azioni e non trovano controparte e sono da molti mesi in lista d’attesa spiega l’avvocato Antonio, presidente di Confconsumatori Puglia La situazione patrimoniale della banca, pur al netto delle ultime svalutazioni, sembra presentare indici sopra l’asticella e non risultano denunciati casi di malagestione. I vertici hanno spiegato che non sarà quotata, ma serve garantire ai soci tempi ragionevoli, e ben vengano nuovi azionisti istituzionali”.