Il Fatto Quotidiano, 18 maggio 2016
Libero dice addio a Maurizio Belpietro, per il giornale del Sì torna Vittorio Feltri
Non si è ancora consumato il duello fra la strana coppia Giovanni Bazoli-Urbano Cairo contro l’eterno salotto Mediobanca-Della Valle per il Corriere della Sera che arriva la svolta di Libero, anche qui con un’impronta più politica che editoriale. All’improvviso la famiglia Angelucci ha rimosso con parecchie tensioni in redazione il direttore Maurizio Belpietro per celebrare l’ennesimo ritorno al vertice del fondatore Vittorio Feltri, già rientrato nel gruppo coni galloni di commentatore. Feltri sarà il regista con il potere conferito da Angelucci, un interno sarà direttore responsabile.
Antonio Angelucci, ex portantino del San Camillo che comanda la sanità privata romana, è deputato di Forza Italia. Ha un legame d’affari e di politica con il soccorritore renziano Denis Verdini, l’ideologo del “partito della nazione’’ che ora ispira il “giornale della nazione” che deve creare il contesto giusto per la vittoria del “sì” al referendum costituzionale di ottobre a cui Matteo Renzi ha appeso il proprio destino politico. Angelucci non ha sancito la rottura con Silvio Berlusconi, tifoso del “No”, ma preferisce attenuare la campagna di Libero contro il governo, perché palazzo Chigi è prezioso per il patrimonio di famiglia, non soltanto per i rapporti con la sanità privata convenzionata. C’è un grosso contenzioso che il governo e Angelucci per la proprietà simultanea di Libero e Riformista (chiuso) si trascinano da anni con ricorsi, appelli e multe milionarie, Qui c’entra il renzianissimo sottosegretario Luca Lotti, [ con la delega all’editoria, che può alleviare o esacerbare le pene di Angelucci.
Belpietro non ha accettato l’ingombrante presenza di Feltri né la virata sul governo Renzi, che richiede aspra critica all’ex Cavaliere. Angelucci più Verdini più l’abile Lotti: una filiera che conduce al Nazareno, la sede del Pd. Non è una coincidenza l’elenco compilato da Feltri, venerdì scorso, proprio suLibero, di tutte le “ragioni da B.” (cioè degne di Berlusconi) per votare “Sì” a ottobre. Oggi Belpietro firma l’ultimo numero di Libero con un manifesto per il “No”. L’operazione di Angelucci che: ha preso anche il Tempo di Ro! ma non ha la stessa rilevanza sistemica di quella in corso su via Solferino, ma è una battaglia di periferia che aiuta a capire cosa sta succedendo in Rcs, l’editrice del Corriere della Sera.
Piazza affari ha attutito il colpo provocato dall’offerta pubblica di acquisto lanciata dal finanziere Andrea Bonomi di Investindustrial al fianco [ della Mediobanca di Alberto Nagel, di Unipolsai di Carlo Cimbri, della Pirelli cinese di Marco Tronchetti Proverà, dell’ex anti-renziano pentito Diego Della Valle. Il titolo di Rcs s’è gonfiato fino a 0,71 euro ad azione, un centesimo in più della proposta di Bonomi & C. Urbano Cairo, sostenuto da Banca Intesa, principale creditrice di Rcs, per il momento non sembra pronto a rilanciare: “Di questo argomento non parlo più”, ha detto ieri. La sua offerta azioni della Cairo editore in cambio di azioni Rcs valorizza il gruppo del Corriere per l’equivalente di 0,52 euro per azione. Difficile aumentare e compensare l’impegno da 283 milioni di euro del vecchio “salotto buono”.
Cairo è l’editore puro che Giovanni Bazoli, il garante indiscusso del Corriere dopo la scomparsa di Gianni Agnelli, ha scelto per proteggere l’identità di via Solferino. Conclusa la carriera in Intesa, all’età di 83 anni, il “banchiere prodiano” ha individuato lo spazio che il Corriere può occupare nel dibattito pubblico sul renzismo: mai schierati, ma non allineati. Il patto fra Cairo e Bazoli include una presidenza della società di garanzia che
rispecchi questi criteri, che incarni quella ferma mitezza espressa nei suoi editoriali da Ferruccio de Bortoli, l’ex direttore appena rientrato come editorialista che già si è schierato per il “No” al referendum. Idee a parte, per Cairo l’aspetto economico è necessario: una integrazione fra il gruppo Rcs e La7 può consentire a una piccola televisione di sopravvivere in epoca di fusioni (Vivendi-Mediaset) e multinazionale (Sky Italia).
Se vince il salotto di Mediobanca il Corriere è destinato a ingrossare il fronte del “Sì”, dove si stanno allineando i grandi giornali, da Repubblica alla Stampa. Oltre a Libero (e al Foglio).