
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il passaggio chiave è questo: «Cercheremo di rafforzare l’accordo politico, per combattere contro l’Is, incluso il generale Haftar».
• Stiamo parlando della Libia.
Già. Ieri c’è stato un vertice a Vienna, voluto dagli americani e dagli italiani (sulla Libia, gli americani tendono a seguire le nostre mosse). Per gli americani c’era Kerry, per noi Gentiloni, per i libici Serraj. Al tavolo sono stati invitati i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu (Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna) e i rappresentanti dei paesi confinanti con la Libia, cioè Tunisia, Egitto, Ciad, Niger, Sudan. Se ci pensa, è la stessa formazione che lo scorso 13 dicembre, accogliendo le idee italiane, decise di scegliere Fayez Serraj come uomo della pacificazione, della riunificazione, della stabilizzazione della Libia. Fino a quel momento, la Libia aveva avuto due governi e due parlamenti: uno a Tripoli, guidato dagli islamisti, e uno a Tobruk, filoegiziano. La comunità internazionale aveva riconosciuto il governo di Tobruk, ma quel 13 dicembre si accettò l’idea di creare un terzo gabinetto, guidato da questo commerciante, Fayez Serraj, e di chiedere a tutti di riconoscerlo. Serraj si è insediato a Tripoli, ma a oggi controlla una frazione della città, non di più. Intanto, sul lato di Tobruk, la comunità internazionale ha dovuto assistere all’avanzata militare del generale Haftar e a sette bocciature, da parte del parlamento di Tobruk, del governo Serraj. Risultato: la Libia, se non si fa qualcosa, si avvia ad essere divisa in due, la Cirenaica ad Haftar e all’Egitto (e ai francesi), la Tripolitania a Serraj, se Serraj a quel punto non sarà stato rovesciato. È chiaro che bisogna far qualcosa prima che la situazione precipiti.
• Perché la frase che ha citato all’inizio è così importante?
L’ha pronunciata il nostro ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. In un primo momento, la comunità internazionale e il governo di Serraj non volevano sentire parlare del generale Haftar, che infatti non era stato compreso nella lista dei ministri. Haftar non se n’è dato per inteso e ha cominciato ad attaccare le città controllate dall’Isis, Derna, Bengasi, Adjabiya. Anche se Derna non è ancora caduta, il generale sostenuto dagli egiziani ha ottenuto parecchi successi e sta diventando un punto di riferimento per i libici. A questo punto meglio coinvolgerlo. Il nostro ministro della Difesa, Roberta Pinotti, s’è fatta intervistare da Maria Latella domenica scorsa e ha detto: l’unico discorso unificante tra le fazioni libiche è la lotta all’Isis. Allora tanto vale farla insieme, e poi si vedrà. Fondamentale è l’atteggiamento che su questo punto terrà l’Egitto.
• Non avevamo rapporti difficili con l’Egitto per via del caso Regeni?
Sì, ma qualcosa bisogna fare per riannodare l’intesa con al Sisi. Egiziani ed Emirati Arabi forniscono armi ad Haftar, nel porto di Tobruk sono stati scaricati più di mille veicoli da combattimento, parecchie armi arrivano da Parigi su richiesta dello stesso al Sisi. Questi traffici non sarebbero ammessi, dato che alla caduta di Gheddafi si decise un embargo verso la Libia, cioè era proibito vendergli armi. Egiziani e francesi se ne fregano, nel vertice di ieri, infatti, Serraj ha dovuto chiedere un alleggerimento di questo embargo, in modo da potersi rifornire di armi anche lui. Dovrà presentare al Consiglio di Sicurezza dell’Onu un elenco dettagliato di quello che vuole, la destinazione e l’uso di quanto gli sarà dato, che dovròà necessariamente essere strettamente connesso alla lotta all’Isis (cioè quelle armi non potranno essere usate contro i nemici libici).
• E l’Italia?
È confermato che per il momento nessun soldato italiano sbarcherà in Libia. La regola è: una missione sarà possibile solo quando sarà chiesta ufficialmente dal governo riconosciuto, cioè quello di Serraj. Serraj però ha spiegato ancora ieri che lo sbarco di soldati stranieri in Libia sarebbe vissuto come un’invasione, anche se i soldati arrivassero nel quadro di una missione Onu. L’avvertimento vale soprattutto per noi, che di quel paese fummo i colonizzatori. Haftar chiama la sua operazione su Sirte “Al Qurdabiya”, che era il nome con cui i libici vennero all’assalto degli italiani invasori nel 1915. Renzi ha spiegato bene che la presenza di nostri militari laggiù attirerebbe ogni sorta di attacchi. Per ora non se ne parla.
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