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 2016  maggio 17 Martedì calendario

«Se sarò eletta, Bill sarà lo zar dell’economia» dice Hillary

Hillary Clinton ha il suo plenipotenziario per l’economia americana. E il nome dello “Zar” finora segreto non è esattamente un gran segreto: il marito ed ex presidente Bill. L’ormai quasi certo candidato democratico alla Casa Bianca ha deciso di sfoderare quello che considera uno dei suoi migliori assi nella manica: l’avere a fianco, in una posizione di “ministro ombra” se non di prima linea, un ex presidente che rimane popolare tra gli elettori democratici e non solo. Non ultimo per la credibilità che William Jefferson Clinton può vantare nel fare i conti con la grande sfida interna dell’America: un’economia che non cresce abbastanza, certo non abbastanza per curare le ferite lasciate dalla crisi del 2008, per alleviare l’esplosione di diseguaglianze sociali e le pressioni sui ceti medi e sui lavoratori. Un’economia che, promette invece Hillary, potrebbe con lei alla Casa Bianca – e Bill alle sue spalle – tornare a brillare come nell’epoca d’oro degli anni Novanta.
La nuova mossa dell’ex Segretario di Stato, senatore e First Lady ha più risvolti che mettono a nudo le grandi incognite della campagna elettorale. Cerca anzitutto nell’immediato di riconquistare i riflettori dei mass media e l’attenzione dell’opinione pubblica oggi dominati, nel bene e nel male, dall’ossessione per il controverso e sua volta ormai quasi certo candidato repubblicano, Donald Trump. Magnate immobiliare o faccendiere, carismatica stella televisiva o megalomane populista a seconda che a descriverlo siano amici o nemici, di certo è però sempre più al centro all’attenzione a scapito della Clinton.
L’obiettivo più importante, per Clinton, è però soprattutto ben più profondo: far breccia nei ceti popolari e tra i lavoratori bianchi. Quell’elettorato che oggi la snobba, in preda a rabbia e sfiducia per politici tradizionali e che dentro il suo stesso partito le preferisce il rivale Bernie Sanders con i suoi comizi per il college gratuito, il sistema sanitario nazionale e il salario minimo immediatamente alzato a 15 dollari l’ora. Quel Sanders che proprio per questo ancora non si dà ancora per vinto e oggi, all’appuntamento con le primarie di Kentucky e Oregon, potrebbe sperare in nuove vittorie che frenino ulteriormente gli entusiasmi per la Clinton. Un simile elettorato, teme Hillary, in un domani – alle urne di novembre – se non riuscirà a raggiungerlo potrebbe almeno in parte premiare Trump. Già adesso i sondaggi nazionali la vedono ormai davanti a Trump in media di soli cinque punti percentuali.
Parlando nel cuore industriale del Kentucky durante il fine settimana, la Clinton ha così apertamente arruolato il marito in una prossima amministrazione dopo aver più volte accennato a un suo ruolo di gran consigliere. «Sarà al comando dello sforzo per rivitalizzare l’economia, perché lui sa quello che va fatto». Quasi uno slogan che vorrebbe diventare l’alternativa al «Faremo di nuovo grande l’America» di Trump. Scendendo in maggiori dettagli su quali contributi Bill Clinton apporterebbe a un suo governo, Hillary ha continuato citando la capacità «di avere un milione di idee al minuto». È ora, ha aggiunto, che lui «esca dal ruolo di pensionato» e si dia nuovamente da fare per affrontare le crisi in atto in centri urbani come in regioni disagiate degli Stati Uniti, quali ad esempio le aree minerarie.
Hillary può far leva su dati indiscutibili, quando si tratta dell’eredità economica lasciata da Bill: in otto anni il deficit federale diventò un surplus e furono creati 22 milioni di posti di lavoro, cioè più di quanti non ne siano comparsi nei 22 anni sotto l’egida degli ultimi quattro presidenti repubblicani. Una cifra che può far sognare chi è tuttora intrappolato in una ripresa asfittica e con troppi impieghi a basso salario. La capacità dell’ex presidente di dialogare, oltre che con le minoranze etniche, proprio con le fasce di lavoratori bianchi meno abbienti è inoltre leggendaria.
Ciò detto, però, rilanciare Bill nei panni di Zar economico potrebbe anche rivelarsi un’arma a doppio taglio. Le politiche dell’era clintoniana sono men che universalmente celebrate. I suoi anni videro lo scoppio della bolla di Internet, l’accordo di libero scambio Nafta con Messico e Canada inviso ai sindacati e la deregulation di banche e settore finanziario, accusata di aver gettato i semi per gli eccessi di Wall Street e il collasso dei derivati che provocò proprio la grande crisi e recessione. Senza contare che i repubblicani non hanno fatto mistero di voler rispolverare le polemiche sui comportamenti personali di Bill Clinton alla Casa Bianca, comprese le avventure “romantiche”, e i sospetti di scarsa trasparenza nei rapporti con personalità e gruppi esteri della sua Fondazione.