
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Un’inchiesta del Financial Times mostra che dalle borse mondiali sono spariti, dall’inizio dell’anno, 90 miliardi di dollari. Stiamo parlando soprattutto di soldi ritirati dai fondi azionari.
• È grave?
È come minimo inquietante, perché il mondo è zeppo di liquidità e i rialzi degli ultimi anni, del tutto indifferenti allo stato reale dell’economia mondiale, sono stati spiegati con il tanto denaro di carta pompato da giapponesi, americani e da ultimo anche da Draghi. Quelli che stavano dalla parte giusta del tavolo si son trovati così pieni di banconote e da qualche parte queste banconote andavano messe. Niente di più facile delle borse e dei fondi, dato che s’è dubitato parecchio delle materie prime (o commodity), depresse dal prezzo del petrolio e dalla crisi dei paesi emergenti, principali produttori di questi beni. Insomma, fino all’anno 2015 il quadro sembrava particolarmente favorevole all’investimento in Borsa. Ma togliere di mezzo 90 miliardi di dollari in sei mesi (80 miliardi di euro) non è uno scherzo.
• Spiegazioni?
Nessuna davvero convincente, se non quella che segnala una paura generica per qualcosa che dovrebbe o potrebbe accadere. Come ci viene spiegato tutte le volte, il mercato detesta le incertezze e il momento è sicuramente pieno di incognite.
• Per esempio?
L’incognita più pesante è il risultato del voto inglese sull’uscita dalla Ue, la cosiddetta Brexit. Goldman Sachs ha preparato uno spot da 500 mila dollari, che è stato trasmesso durante la finale dell’Eurofestival, per fare propaganda contro l’uscita. È un altro segno che la finanza ha paura di questa eventualità, anche se nessuno ha fatto una previsione convincente su quello che potrebbe accadere se vincessero gli antieuropeisti. Questa paura risulta in crescita man mano che si avvicina la data del 23 giugno: ieri l’ex sindaco di Londra, Boris Johnson, ha pronunciato un discorso abbastanza spaventoso sull’identità tra la Germania di Merkel e quella di Hitler. Come Napoleone e come Hitler s’erano messi in testa di unificare il continente e di metterlo agli ordini di un’unica autorità, così i tedeschi adesso, con un tipo di esercito completamente diverso, quello degli euro. Il destro Farage si è congratulato, gli altri politici inglesi gli hanno dato addosso. Gli speculatori di Borsa non amano la confusione, e sono sicuri che i corsi scenderanno ancora, dunque meglio andare da qualche altra parte.
• E quale sarebbe questa «altra parte»?
Il mercato immobiliare avrebbe guadagnato - dice il Financial Times - un 15%. È in ripresa anche l’oro. Improvvisamente gli operatori si raccontano che in definitiva questi Paesi emergenti sono meno peggio di quello che si dice. Se il sentiment è questo, vedrà che saliranno anche i prezzi del petrolio.
• Mi figuro che, se questo è il clima, ai titoli di stato, cioè al debito pubblico, si prepara una brutta doccia fredda.
Parrebbe di no. C’è forte richiesta di titoli americani. Gli spagnoli l’altro giorno hanno piazzato obbligazioni a sei mesi per 400 milioni di euro, e la richiesta è stata per più di tre miliardi. E riconoscono un rendimento lordo negativo dello 0,26. Hanno anche piazzato un titolo a dieci anni con il tasso miserrimo dell’1,5 per cento e hanno ricevuto richieste pari a cinque volte l’offerta. La lunga scadenza sembra essere tornata di moda, gli spagnoli hanno offerto bond al 2,72 per cento da rimborsare nel 2040 e hanno ricevuto richieste pari a una volta mezza l’offerta. Anche l’Italia sta pensando a titoli trentennali, probabilmente li emetteremo dopo le elezioni. Queste obbligazioni hanno il curioso titoli di “Matusalemme”.
• Quali sono gli altri fattori di crisi che hanno consigliato gli investitori a mollare il mercato azionario?
Si va un po’ a casaccio, ma l’elenco è facile. Non si sa come finirà con le elezioni americane, le quotazioni di Trump, anche dopo che il New York Times lo ha accusato di maltrattare le donne, sono in crescita e Trump è davvero un punto interrogativo. Inoltre gli Stati Uniti, secondo gli analisti, sono sempre a un passo dalla recessione. Si vota in Spagna e non è affatto sicuro che, dopo le elezioni, non si riproduca la stessa situazione di prima, forze politiche in equilibrio che non riescono a dar vita a una maggioranza. La Grecia è di nuovo nei guai. La Cina continua a frenare. Le cosiddette politiche espansive, cioè stampare a tutto spiano carta moneta e sperare che questo faccia risalire i prezzi e ridia fiato all’economia, hanno forse ottenuto il massimo, e più di quanto hanno dato non potranno dare. Poi c’è il debito pubblico italiano, arrivato lo scorso marzo a 2.228 miliardi, +14 miliardi in un solo mese. Anche questo dato, coniugato con la fragilità ormai conclamata delle nostre banche, non è che faccia star tranquilli.
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