Corriere della Sera, 16 maggio 2016
In morte di Alvise Zorzi
Mario Breda per il Corrriere della Sera
I croati tentavano di scipparci Marco Polo, dicendo che era nato nell’isola dalmata di Curzola? Era lui che, documenti alla mano, ripristinava la verità. La Lega banalizzava con sgangherate versioni mitologiche la parabola della Repubblica di San Marco? Lui sterilizzava ogni castroneria ricordando con nonchalance che durò undici secoli, cioè più dell’impero romano, grazie a una «serenissima saggezza politica». Qualcuno urlava anatemi sulla capitale della laguna, definendola «l’immondo svuotatasche» e invitando i turisti a disertarla perché «fasulla come Disneyland»? Ecco che lui, con i suoi libri (un baedeker di addirittura 151 volumi), ne rilanciava in modo potente l’immagine.
Dopo che dal dopoguerra abbiamo visto attribuire il titolo di «nuovi dogi» a quasi tutti i grandi papaveri veneti – e molti erano francamente abusivi, in quell’elenco —, oggi che Alvise Zorzi è scomparso si può dire che forse solo lui è stato davvero l’ultimo doge di Venezia. Ne ha rincorso la storia dalle origini ai giorni nostri, con passione e competenza assolute. Saggista raffinato e dalle costruzioni avvincenti (secondo il «canone Dumas»), è stato il custode delle glorie di una Nazione in cui affondava le radici la sua stessa famiglia. Un custode che sarebbe però sbagliato marchiare come passatista tout court, e lo provano le polemiche nelle quali si è esposto, se e quando sentiva di dover difendere la città dov’era nato nel 1922, facendo poi la spola con Roma, dove ha lavorato come dirigente Rai.
Organizzatore culturale e scrittore infaticabile, Zorzi sapeva bene che cimentarsi con il tema di Venezia, e specialmente con la dimensione crepuscolare attuale, è un’impresa pericolosa. Non a caso nel Novecento soltanto due poeti, Pound e Zanzotto e pochi altri, sono riusciti a scriverci sopra qualcosa di memorabile, glissando il rischio delle astrazioni estetizzanti o della retorica letteraria da incantamento.
Così, lui si accontentava di stare con i piedi per terra, ancorando il suo infinito romanzo storico alle vicende e ai personaggi che avevano fatto la grandezza della Serenissima. Mercanti audaci e visionari come Marco Polo. Uomini di teatro e artisti come Goldoni, Tiziano e Tiepolo. Condottieri, diplomatici e politici come il doge Andrea Gritti.
Nella sua casa romana intorno alla via Salaria, Alvise Zorzi ne parlava al presente, indulgendo spesso a un cadenzato ed elegantissimo dialetto, quando voleva mettere in scena «dal vivo» un passaggio cruciale. Una volta, ad esempio, volendo far capire che cosa significava per la Repubblica occuparsi dell’integrità della laguna, recitò la metafora escogitata nel 1557 dall’ingegnere idraulico Cristoforo Sabbadino, in una disputa con Alvise Cornaro. Metafora nella quale quei sessantamila ettari di terra e acque (ma nel Cinquecento erano ovviamente molti di più) venivano definiti alla stregua di un corpo umano, in cui «i canali sono le vene e le maree il respiro». E si chiedeva: «Perché non pensarla e curarla così anche oggi, la nostra Venezia?».
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Mario Avagliano per Il Messaggero
Ha "cantato" l’epopea della Serenissima e i grandi personaggi che ne hanno attraversato la storia. Da Marco Polo a Tiziano, da Tiepolo a Goldoni, passando per Tintoretto e Casanova. Tanto da meritare lui stesso l’appellativo di “Doge”. È scomparso a quasi 94 anni lo storico Alvise Zorzi, classe 1922, uno dei massimi studiosi della repubblica di Venezia, che lui stesso definiva «repubblica di terra e di mare». «Il Doge è morto», ha scritto il figlio Pier Alvise sul suo profilo di Facebook, dandone per primo la notizia e ricordandone la data di nascita, 10 luglio 1922, e quella di morte, 14 maggio 2016.
Zorzi, nato nella città lagunare, a due passi da Rialto, il quartiere più antico di Venezia, veniva da una famiglia di letterati. Il padre Elio era giornalista e scrittore, oltre che direttore della Mostra del Cinema di Venezia negli anni del dopoguerra. La madre Irma Gelmetti (nota come Irma Valeria) era una poetessa futurista e traduttrice di classici. Anche la moglie Mimì Prinetti Castelletti è scrittrice. Il Doge viveva tra Venezia e Roma, era un uomo colto, appassionato e cosmopolita che respingeva con forza l’idea di una Venezia morente, ritenendo invece che sia una città viva e “allegrissima”. Un intellettuale a tutto tondo, elegante e raffinato, che è stato anche direttore dei programmi culturali della Rai e vicepresidente dell’Unione Europea di Radiodiffusione.
Tra le sue opere, oltre al romanzo Il Doge (1994), dedicato alla figura poco conosciuta di Gritti, spiccano Venezia scomparsa (1972), Vita di Marco Polo veneziano (1982), I palazzi veneziani(con fotografie di Paolo Marton, 1989), Canal Grande (1991), La monaca di Venezia (1996),San Marco per sempre (2001), Il colore e la gloria: genio, fortuna e passioni di Tiziano Vecellio (2003), L’Olimpo sul soffitto: i due Tiepolo tra Venezia e l’Europa (2006), fino alle più recenti Napoleone a Venezia (2010) e Il denaro di Venezia: mercanti e monete della Serenissima (2012).
STUDIOForse il suo studio di sintesi è La Repubblica del Leone. Storia di Venezia (2001), in cui Zorzi ha raccontato le vicende del "piccolo popolo" di pescatori, marinai e tessitori che a partire dal 25 marzo 421, data leggendaria della fondazione di Venezia, si rifugiò sulle isole della laguna. Un popolo che seppe trasformare un territorio apparentemente inospitale in una meravigliosa città di palazzi, canali, chiese, teatri, piazze e calle, rendendo Venezia alla fine del Quattrocento la città più ricca del Mediterraneo.
Il suo impegno per Venezia, «di cui era sinceramente innamorato», come ha detto il presidente del Veneto Luca Zaia, non si è limitato ai saggi e agli importanti studi storici. Zorzi è stato anche membro del Comitato Consultivo per Venezia dell’Unesco, presidente del Comitato per la Pubblicazione delle Fonti per la Storia di Venezia e dal 1986 presidente dell’Associazione dei comitati privati internazionali per la salvaguardia di Venezia, facendone «il luogo della rappresentanza dei veneziani del mondo - è il ricordo dell’ex ministro Paolo Costa - e di coloro che Venezia la sentono propria perché “bene che appartiene all’Umanità”». Un obiettivo per il quale il Doge ha speso tutta la sua vita.