la Repubblica, 16 maggio 2016
Un giro alla fiera di Parigi dei musulmani per capire meglio l’Islam francese
La signora Noura è molto fiera del suo stand Al Manassik Jilbab, uno dei più forniti. Le clienti esaminano i tessuti sul bancone, contrattano il prezzo, cinque euro per l’hijab, il foulard, 25 per la jilbab, il velo lungo che copre anche il corpo. «È uno chiffon molto leggero adatto per l’estate», spiega Noura che mostra la nuova versione, un po’ più cara, in microfibra. «Molto facile da lavare». Burqa? «No, non li abbiamo», dice con prudenza la venditrice.Per trovare una donna non velata bisogna cercare molto qui a Le Bourget, dove si svolge il Raduno annuale dei musulmani di Francia (Ramf). Ma non si sente nessuno sguardo di disapprovazione per chi non lo indossa, tra bancarelle con incensi, datteri marocchini, miele con grani di nigella dall’Algeria, effluvi di essenza di muschio. C’è la fila per il rivenditore dell’acqua sacra Zamzam, importata dall’Arabia Saudita. L’agenzia Hajj & Omra offre pellegrinaggi alla Mecca «tutto compreso». Nello spazio Barb’Art si trovano profumi e cosmetici per l’igiene maschile. In un’altra sala dei ragazzi aspettano per partecipare al concorso di memorizzazione del Corano.Il raduno si conclude oggi dopo quattro giorni di grande affluenza. Oltre 150mila persone partecipano a questo evento, a metà tra un’immensa sagra e un congresso politico. Entrando nella zona fieristica di Le Bourget, banlieue nord di Parigi, incontri cassette in cui raccogliere donazioni per la costruzione di nuove moschee. Mokhtar tesse le lodi del progetto di Beauvais: una sala da preghiera per oltre 2mila persone che costerà 4 milioni di euro. Il tradizionale appuntamento di Le Bourget, creata 30 anni fa, riflette sentimenti e paure della più grande comunità musulmana d’Europa.Per la nuova edizione, che si svolge sei mesi dopo gli attentati di Parigi, gli organizzatori hanno scelto come titolo: “Costruiamo il futuro insieme”.«È la nostra risposta a chi vorrebbe segregazione e divisione», spiega Amar Lasfar, presidente dell’Union des Organisations Islamiques de France(Uoif). «Ci sentiamo vittime delle violenze proprio come gli altri francesi, anzi siamo ancora più arrabbiati perché questi criminali strumentalizzano la nostra religione», continua Lasfar, che ha anche fondato la scuola musulmana di Averroès, vicino a Lille, dove gli alunni hanno un tasso di riuscita al Baccalauréat, la maturità francese, tra i migliori del paese.I temi dell’attualità sono stati inseriti nel programma del raduno, con dibattiti come “Siamo tutti radicalizzati?”, “Come rispondere allo shock dei pregiudizi?”, “Crisi dei rifugiati: è possibile accogliere tutta la miseria del mondo?”. Per l’Uoif è il tentativo di uscire dall’isolamento in cui è stato cacciato dal governo. «Siamo entrati in una fase di rottura molto delicata», analizza Bernard Godard, specialista francese dell’Islam. Il premier Valls non vede di buon occhio l’Uoif, organizzazione storicamente vicina ai Fratelli Musulmani. «Non abbiamo nessun legame», ripete il presidente Lasfar che ha fatto attenzione a non invitare predicatori radicali, senza convincere del tutto.Alcune ambiguità restano, a cominciare dalla presenza del controverso intellettuale Tariq Ramadan, nipote del fondatore dei Fratelli musulmani e relatore di una conferenza dal titolo: “Il velo, ossessione francese?”. La legge del 2004 che ha bandito i simboli religiosi nelle scuole è una ferita aperta, mentre si parla ora di vietarli anche nelle università.«Nessuna ossessione», risponde dal palco Didier Leschi, già dirigente al ministero dell’Interno per l’ufficio dei culti, chiamato a ribadire il concetto di laicità nella République. «La questione del velo è legata all’evoluzione, o meglio all’involuzione nel mondo musulmano», spiega Leschi che sottolinea la politica di «eradicazione della diversità» in molti paesi con la persecuzione dei yazidi e dei cristiani d’Oriente. I pochi spettatori venuti alla conferenza ascoltano in silenzio.Nel primo padiglione di Le Bourget troneggia una riproduzione della moschea Al Alqsa, accanto al centro culturale per la Palestina, allo stand dedicato alla Siria e allo spazio riservato ai profughi con lo slogan “ Je suis Refugié”, in caratteri bianchi su fondo nero come quello inventato dopo Charlie Hebdo.Non basta una fiera per risolvere le contraddizioni nell’Islam francese. L’Uoif ha chiesto di tornare dentro alla consulta governativa Cfcm ( Conseil français du culte musulman) ma per ora non è stato riammesso.Lo stesso organismo, inaugurato nel 2005 da Nicolas Sarkozy, è stato in parte screditato, con ostilità aperte tra i rappresentanti della Grande Moschea di Parigi, vicini al governo di Algeri, e quelli del Rmf ( Rassemblement des musulmans de France), legati al Marocco e alleati con il Ccmtf ( Comité de coordination des musulmans turcs de France).E non è chiaro quale sarà l’esito di questo dibattito sempre più incandescente, con un campagna presidenziale ormai alle porte in cui Marine Le Pen è già data favorita al primo turno.