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 2016  maggio 16 Lunedì calendario

Quarant’anni fa il Torino vinceva il suo ultimo scudetto. Ricordi di un’emozione lontana

Castellini, detto Giaguaro, una passione per gli interventi plastici e due mani grandi così; Santin e Salvadori, terzini all’olandese, e poco importa che fossero originari di Eraclea e Magenta; Patrizio Sala, gambe arcuate e polmoni inesauribili; Mozzini e Caporale, la coppia centrale, stopper e libero vecchio stampo; Claudio Sala, il Poeta; Pecci, piedoni, fosforo e tendenza a mettere qualche chilo; Graziani, detto Ciccio, non ancora Generoso ma già Gemello del gol; Zaccarelli, mezzala elegante ma ruvida quando necessario; Pulici, punto, per lui non servono parole. Sono gli undici che fecero l’impresa. Sono gli undici che il 16 maggio 1976 non cancellarono – perché solo pensarlo sarebbe eresia – ma fecero sorridere dalla collina di Superga gli immortali del Grande Torino, i Bacigalupoballarinmaroso.
Sono gli ultimi giocatori in maglia (e pantaloncini) granata ad aver conquistato uno scudetto.
Avevano atteso una vita, i tifosi, per festeggiare un altro titolo di campioni d’Italia. L’ultimo era datato 1949, assegnato a una squadra passata dai campi di calcio direttamente alla leggenda, maledetto aereo. Ventisette anni e 12 giorni dopo, il Toro fece pace con il destino.
Era una squadra dai mille segreti, quel Torino. Il gessato del presidente Orfeo Pianelli, l’uomo che aveva deciso di puntare su quel tecnico dagli occhi di ghiaccio, il giovane Gigi Radice, che chiamavano il tedesco ma che amava il calcio totale, quello che l’Olanda aveva mostrato agli ultimi Mondiali. Ramsey, così soprannominato per la somiglianza con il c.t. dell’Inghilterra, che in realtà si chiamava Paolo, lavorava in Fiat e il sabato saliva in ritiro per consegnare a Radice foglietti con improbabili indicazioni tattiche. Bagna Cauda, la tifosa che al passaggio del pullman si affacciava al terrazzo. Il leone dello zoo, che doveva dare la carica alla squadra prima della partita: Pulici faceva fermare il pullman fino a che non usciva dalla tana. E poi via, verso lo stadio.
Ma queste sono scaramanzie. La realtà è che quel Torino era una squadra moderna, anzi di più, in anticipo sui tempi. Con possesso palla, sovrapposizioni e quell’attaccante, Pulici, detto Pupi, detto Puliciclone, che aveva il granata dipinto addosso e che per i tifosi del Toro era (è) il calciatore più forte di ogni tempo. Quello che nei derby batteva Zoff in ogni maniera, di testa, di piede, di pallonetto da 30 metri.
Non è un caso che il gol scudetto sia stato firmato da Lui, minuto 61 della partita con il Cesena. Graziani si allarga sulla sinistra, crossa rasoterra e solo Pulici può pensare di buttarsi di testa tra i piedi di Danova. Lo fa e segna. La Juventus perde a Perugia, è fatta, anche se Mozzini e Castellini non si capiscono e l’autogol impedisce ai granata di fare 15 vittorie su 15 in casa.
Poi sono solo immagini in granata e in bianconero (della tv, sia chiaro), con Radice inseguito da Paolo Frajese che vorrebbe intervistarlo e che si sente rispondere «peccato per quell’autogol». «Ma avete vinto lo scudetto!», insiste Frajese. Inutile, Radice è in trance. Come un popolo in pellegrinaggio a Superga.
Sembra ieri, eppure sono passati 40 anni. Quella domenica, avvicinandosi al Comunale in un silenzio irreale, i tifosi si preparavano a sognare con un pensiero comune: sono passati 27 anni dall’ultimo scudetto, speriamo di non doverne aspettare altrettanti.
Ventisette anni dopo, il 3 maggio 2003, perdendo in casa 1-0 dall’Udinese, il Torino retrocedeva in serie B con tre giornate d’anticipo.