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 2016  maggio 16 Lunedì calendario

Ritratto di Jamala, dalla Crimea all’Eurovision

Dal jazz al blues al soul, dalla musica classica all’opera, all’impegno politico internazionale, seppur in musica, con la denuncia dei crimini di Stalin. Passando per Maidan. A soli 32 anni, la parabola di Jamala, alias Susana Jamaladinova, sembra riflettere quella di una generazione di giovani ucraini, costretti a schierarsi dalla storia. L’obbligo del patriottismo, una necessità civile, una moda persino.
Nata nel 1983, c’era ancora l’Urss, a Osh in Kirghizistan, nell’Asia Centrale sovietica, da padre tataro di Crimea figlio di deportati nel 1944, come migliaia di suoi connazionali nati in esilio, e madre armena (originaria del Nagorno Karabakh, zona di conflitto, il genocidio etnico nel sangue), la politica forse l’aveva nel Dna. Ma per arrivare alla militanza ci ha messo un bel po’. L’infanzia in Crimea, nel piccolo villaggio di Malorechenskoe vicino Alushta, dove la famiglia tornò nel 1989, al crollo dell’Urss, solo allora i tatari furono riabilitati. Comincia a cantare a 9 anni, diploma in canto lirico al conservatorio di Simferopol; la svolta Concorso internazionale per giovani talenti «New Wave 2009» a Jurmala, dove riceve il Grand Prix. «Appassionata di Yoga e improvvisazione, canta in inglese imparato ascoltando la Fitzgerald», cosi la presentano. Il giorno dopo fa scandalo dicendo che avrebbe speso i 50mila euro del premio «per se stessa». Concerti a Mosca e Berlino, un premio anche in Italia al concorso europeo Amici della Musica. Predilige canzoni d’amore leggere, all’insegna dell’ironia, come «Figlioccio di Mammina». Nel 2011 il debutto da solista con l’album «For every hearth». Lontana dall’ideologia.Poi, il 10 ottobre 2013 – premonizione? – canta piena di passione, in abito giallo scollato e colombe blu sul petto, i colori nazionali, l’inno dell’Ucraina prima dell’incontro di boxe tra il pugile ucraino Vladimir Klitchko (fratello di Vitali, futuro leader di Maidan e sindaco di Kiev) e il russo Alexander Povetkin. E a novembre 2013, inizio della protesta di Euromaidan a Kiev, nella ricorrenza della prima rivoluzione arancione del 2004, col musicista Boombox incide Liven (Acquazzone), clip in lingua ucraina sulla «rivoluzione della dignità» usando immagini dalla piazza: «Lei, la pioggia, lei, solleverà tutti noi dal fango, la pioggia d’estate». Infine, il 23 marzo 2014, pochi giorni dopo il referendum del 16 marzo che porterà all’annessione della sua patria Crimea alla Russia, sale sul palco in piazza Indipendenza, centro della protesta anti-russa, tra le tende dei manifestanti, in abito tradizionale tataro per cantare in lingua madre: «Gloria alla Crimea, gloria a tutti quelli che si ribellano. Sono qui oggi per appoggiare il mio popolo sulla sua patria storica, e tutti quelli che credono in un’Ucraina unita». 
Ora nella penisola sul mar Nero (la cui invasione paragonò al film Avatar), dove nel frattempo si è intensificata la repressione contro i tatari «dissidenti», non mette piede da due anni, anche lei in esilio come la bisnonna vittima di Stalin. Al suo attivo anche significative particine al cinema: nel film-culto «Il cowboy» interpreta la moglie di un ufficiale dell’Nkvd, la polizia politica sovietica, mentre «The Guide» è ambientato all’epoca dell’Holodomor, la grande carestia del 1932-33 in Ucraina indotta dal regime sovietico, che portò allo sterminio dei contadini.
«Farà la fine di Ruslana», maligna su Facebook il vice premier di Crimea Ruslan Balbec, «Da Maidan all’isteria anti-russa, tra un paio d’anni nessuno la ricorderà». Il riferimento è alla popstar ucraina vincitrice dell’Eurovision 2004 con «Balla coi lupi», poi vietata in Russia, che appoggiò attivamente gli arancioni e Euromaidan, «Giovanna d’Arco ucraina», ex deputata alla Rada, ha sollecitato in Occidente sanzioni contro Putin. Nel 2011, esclusa dalla selezione nazionale per Eurovision, minacciò di portare i propri fan sul Maidan. Ma erano solo canzonette.