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 2016  maggio 16 Lunedì calendario

«Perché questo giornale fallito non racconta la storia dei rapporti tra i Clinton e le donne?». Trump risponde al New York Times

«Chi? Elizabeth Warren? Ah, intende dire Pocahontas». Rispondendo a Maureen Down, la columnist del New York Times che gli chiedeva se i leader repubblicani da lui incontrati non avessero criticato la rudezza dei suoi tweet contro la senatrice della sinistra democratica, Donald Trump ha rassicurato amici e avversari: non intende cambiare il suo stile sarcastico, prepotente, guascone, ma anche assai diretto. Nemmeno ora che è un vero candidato alla presidenza degli Stati Uniti.
Neanche qualche riguardo in più per le donne? Non glielo ha chiesto, Paul Ryan, il leader conservatore del Congresso? E i consigli del senatore del Texas John Cornyn che lo invita a essere più prudente? Macché, The Donald tira dritto: «Ryan vuole che io sia me stesso. Quanto ai consigli, certo che ne ho bisogno. Soprattutto di quelli che continuano a darmi i 17 candidati che ho sconfitto alle primarie».
È stato un weekend complicato per Trump, contrassegnato dall’inchiesta del New York Times che, in un lavoro durato sei settimane e passato per cinquanta interviste, ha descritto in modo minuzioso il rapporto distorto del miliardario con le donne: prevaricazioni legate al suo potere economico e mediatico, crudeltà psicologiche, ma non violenze fisiche. Un ritratto che documenta e certifica il suo gusto per la prepotenza e l’umiliazione, ma Trump liquida il lavoro del quotidiano con tre tweet nei quali sostiene che il Times non ha trovato nulla di nuovo, dice (per l’ennesima volta) che lui, in realtà, le donne le tratta bene, e accusa la testata che lo attacca di giocare sporco: «La gente ride delle accuse di questo giornale fallito: perché non raccontano la vera storia dei rapporti tra i Clinton e le donne? Sono veramente disonesti!».
Dopo gli incontri a Washington coi leader conservatori sfociati in una specie di tregua, ora, insomma, Trump ostenta baldanza: a ben vedere qualche marcia indietro c’è (il no all’ingresso dei musulmani negli Usa derubricato da promessa di un divieto sancito per legge a semplice «suggerimento»), ma il candidato rivendica il diritto di seguire i suoi istinti, cambiando rotta a suo piacimento: ha vinto e fa quello che vuole. Nel partito ora molti si dicono pronti a seguirlo, ma la diffidenza resta grande così come il timore di restare incatenati a un elefante impazzito. Restano, così, in piedi i tentativi di opporre a Trump un candidato alternativo di destra, forse Romney, magari come indipendente. Mossa disperata: Donald la bollerebbe come una manovra per far vincere Hillary. I repubblicani temono di essere trascinati alla sconfitta da un candidato così estremo, ma i sondaggi nazionali che danno Hillary nettamente in testa valgono poco.
E intanto ne emergono altri, parziali ma più dettagliati e credibili, più favorevoli a Trump. Soprattutto quelli della Quinnipac, condotti in Florida, Ohio e Pennsylvania, i tre Stati in bilico più importanti: decisivi nelle presidenziali di novembre. A oggi il risultato è un testa a testa con Trump che ha problemi con le donne mentre anche la Clinton è debolissima con gli elettori maschi: la ex first lady è avanti in Florida e Pennsylvania ma solo di un punto percentuale (43 a 42) mentre in Ohio è in vantaggio Trump di 4 punti.